Accra Climate change talks, eppur si muove

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Lunedì, 25 Agosto 2008

Ai Climate Change talks 2008 che si concluderanno il 27 agosto ad Accra, la capitale del Ghana, qualcosa sembra timidamente muoversi, anche se il direttore dell´Unfccc, Yovo de Boer, in un’intervista al Times of India, ha ammesso che probabilmente non si troverà un accordo su obiettivi a medio temine di riduzione dei gas serra nemmeno nel prossimo incontro che si terrà a dicembre a Poznan, in Polonia: «Sarà difficile discutere di obiettivi nazionali prima che la prossima amministrazione americana sia in carica».

 

Per questo Connie Hedegaard, ex ministro del clima e dell´energia della Danimarca, il Paese che nel 2009 ospiterà la Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici dell´Onu che dovrà adottare il testo finale per il post-Kyoto, ha detto preoccupata: «Dobbiamo accelerare, i negoziati qui ad Accra che devono produrre risultati concreti, soprattutto per quanto riguarda i meccanismi di cui potremmo disporre a partire dal 2012». Lo stesso de Boer ha chiesto ai 1.600 delegati di essere ambiziosi di fronte alla prospettiva che entro il 2020 in Africa 250 milioni di persone soffrano per la mancanza d´acqua: «se fallirete, l´Africa resterà il continente dimenticato del cambiamento climatico. E´ importante che facciamo fronte a tutto questo. Per molti Paesi in via di sviluppo, evitare la deforestazione è praticamente l´unico modo possibile per avviare un "climate change regime" e trarne diversi benefici».

Le opzioni suggerite ad Accra per raccogliere i miliardi di dollari necessari per gli incentivi riguardano nuovi meccanismi di mercato per acquistare la CO2 stoccata nelle foreste, magari provenienti dalle tasse ambientali sui biglietti aerei la navigazione internazionale e da maggiori aiuti da parte della nazioni ricche. Riteniamo che questo sia particolarmente importante per l´Africa - ha detto Brice Lalonde, ambasciatore della Francia per i negoziati sul riscaldamento globale, parlando anche a nome della presidenza di turno dell´Unione europea - . Vogliamo che il prossimo accordo sul clima abbia un rilevante beneficio per l´Africa. L´Unione europea è disposta a prendere in considerazione un aiuto supplementare o ad elaborare nuove forme di carbon trading. L´Unione europea è stata disposta a prendere in considerazione un aiuto supplementare o di elaborare nuove forme di scambio di carbonio». Lalonde ha poi ricordato le misure approvate dal Parlamento europeo per le emissioni degli aerei e per il rallentamento della deforestazione: «Potremo forse vedere una nuova alba per le foreste tropicali».

Dal rappresentante delle isola Tuvalu, uno Stato dell´Oceania minacciato dall´aumento del livello dell´oceano, è venuta una proposta molto concreta: un prelievo di 20 dollari per ogni tonnellata di emissioni di CO2 prodotta dai trasporti internazionali aerei e marittimi genererebbe ricavi per circa 24 miliardi l´anno. Ian Fry, del dipartimento ambientale del governo delle Tuvalu, ha spiegato che «Un prelievo di questo livello è circa lo 0,6% del prezzo di un biglietto aereo. Il rallentamento della crescita economica in molte nazioni, insieme all´aumento del costo del cibo e dei combustibili, rende più difficile trovare denaro contante per la protezione delle foreste».

Intanto i delegati dei Climate Change talks hanno esaminato anche proposte per ridurre le emissioni delle industrie dei Paesi a veloce crescita economica, circolano già ipotesi che però devono fare i conti con le forti obiezioni di Cina ed India che rifiutano di accettare obiettivi nazionali di emissioni climalteranti. La Corea del sud ha annunciato ad Accra che nel 2009 adotterà obiettivi di riduzione dei gas serra da conseguire entro il 2020, ma non ha specificato quali saranno. Il Sudafrica si è già dato propri obiettivi che dovrebbero raggiungere il massimo taglio di emissioni entro il 2025.

Da quel che si riesce a capire nei corridoi del convegno di Accra, starebbe prendendo forma un "sectoral approach" per i Paesi in via di sviluppo che fisserebbe obiettivo specifici di riduzione delle emissioni per industrie fortemente inquinanti come quelle di cemento, acciaio o alluminio, ma, diversamente dai 37 Paesi industrializzati che hanno firmato il Protocollo di Kyoto, i Paesi in via di sviluppo non sarebbero puniti in caso di mancato rispetto degli obiettivi. David Doniger, del Natural resources defense council, è fiducioso: «Sta accadendo tranquillamente qualcosa di molto importante: le persone ora parlano della stessa idea con lo stesso linguaggio. L´India ha espresso delle riserve ma non rifiuta il concetto. Così come la Cina, che ha detto che il piano si adatta perfettamente con l´intenzione di Pechino di aumentare l´efficienza delle sue principali industrie che producono la maggior parte delle sue emissioni di CO2».

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