che secondo l’accordo poteva essere rivisto «solo
sulla base di approfondite attività di monitoraggio
qualitativo e quantitativo delle acque del Nera per
almeno tre anni».
Esulta l’ente parco dei Monti Sibillini, che si estende tra Umbria e Marche: «La sentenza, ultimo atto di una lunga vicenda iniziata nel 1999 – si legge in una nota - ribadisce, quindi, il ruolo fondamentale del parco nazionale nella tutela delle acque, risorsa sempre più strategica e preziosa, e degli ecosistemi legati agli ambienti fluviali. La necessità di un uso razionale e sostenibile dell’acqua richiede che non solo il Parco, ma anche gli altri enti competenti, provvedano a promuovere azioni volte al risparmio idrico: innanzitutto attraverso la manutenzione degli acquedotti esistenti, ma anche differenziando le acque di sorgente, ad altissima qualità, dalle acque destinate ai servizi civili ed industriali».
Il parco ha iniziato a difendere le sue acque già dal 2002 con un Piano per le acque che pestava il piede già a molti e radicati interessi, evidenziando «il notevole sfruttamento del territorio dei Sibillini» e che è stata la base per il disciplinare per la salvaguardia e l’uso compatibile delle risorse idriche approvato nel 2007. «Sempre dello scorso anno – dicono all’ente parco - è il completamento dello Studio Idrogeologico per l’identificazione e la caratterizzazione degli acquiferi che alimentano le sorgenti dei corsi d’acqua perenni dei Monti Sibillini, documento di alto valore tecnico realizzato dall’università La Sapienza di Roma, su incarico del parco e dell’Autorità di Bacino del Tevere, in accordo con le Regioni, e coordinato dal compianto Professor Carlo Boni, uno dei massimi esperti in materia. Oltre a confermare i dati emersi dagli studi per il piano delle acque, lo studio ha evidenziato la presenza di acquiferi alternativi che potrebbero integrare l’acqua derivata dalla sorgente San Chiodo fino al raggiungimento del fabbisogno richiesto».
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