Il pesce spazzatura cambia nome ed è boom a tavola

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Sabato, 1 Agosto 2009

 

La presentazione conta molto ed e' un principio che vale per tutti. Anche per i 'pesci spazzatura'. Per queste creature, un tempo bistrattate dai pescatori come avanzi del mare, cambiare nome ha rappresentato un successo, ma anche la loro maledizione. Se prima vivevano indisturbati nelle profondita' degli oceani o nelle gelide acque dei poli, ora affollano i banchi del pesce e sono addirittura a rischio estinzione. Col senno di poi, se avessero potuto decidere del loro futuro, era meglio continuarsi a chiamare 'testa di melma', piuttosto che 'persico arancione'. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista americana Science, il 63% di queste specie sta sparendo a ritmi preoccupanti, sintomo di quanto l'industria della pesca sia ormai vicina alla saturazione. Il fenomeno ha una storia ben precisa, che segue le regole basilari del marketing. A partire dagli anni Cinquanta, i pescatori, messi alle strette dalla carenza di pesci nobili, si sono spinti piu' lontano, gettando le loro reti sempre piu' in basso. Adeguandosi alla domanda crescente, hanno portato a casa pesci meno ricercati e poco familiari dalle sembianze ai limiti del mostruoso. A questo punto, hanno semplicemente cercato di vendere meglio il prodotto, partendo in un certo senso dal biglietto da visita. Cosi' 'testa di melma' ha cambiato nome, e il 'pesce dentato della Patagonia' e' diventato una 'spigola cilena'. Dalla coda del 'pesce oca', poi, e' nata addirittura una nuova specie: il 'pesce monaco', grazioso filetto che poco ha a che fare con un animale composto per il 30% da bocca e il 50% da stomaco. Una decina di anni fa, in Maine, un commerciante di frutti di mare ha inventato un nuovo termine per i banali granchi di roccia: 'peekytoe crab', traducibile come 'alluce appuntito'; da allora, l'ascesa al successo e' stata inarrestabile. Stessa storia anche per un a specie di riccio di mare, chiamata da sempre 'uova di prostituta', ora invece di gran moda nei ristoranti americani di sushi con il nome giapponese di 'uni'. E mentre il Seafood Watch, guida prodotta dall'Acquario di Monterey Bay in California, consiglia ai consumatori di tenersi lontani da spigole finte e altri pesci di serie B, i commercianti difendono il loro diritto alla fantasia. ''Qualsiasi impresa e' costantemente in cerca di nomi che invoglino i consumatori all'acquisto - ha dichiarato John Connelly, presidente del National Fisheries institute - Gli allevatori, ad esempio, non vendono 'testicoli di toro', ma 'ostriche delle montagne rocciose': non e' forse la stessa cosa?''. Ai consumatori l'ardua sentenza; giu' nei mari, intanto, gli ex pesci spazzatura chiedono solo di essere protetti; oppure, al limite, di tornare all'anonimato.(ANSA)

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