Uranio, risorsa limitata

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Martedì, 1 Dicembre 2009

 

L'Italia ha lanciato di recente il suo programma nucleare, che prevede la costruzione di alcune centrali. L'Iran ha deciso di costruire dieci centrali nucleari, anche se la comunità pone seri vincoli al progetto. La Cina ha deciso la costruzione di alcune decine di centrali nucleari entro il 2030. Qualcuno calcola che per cambiare il paradigma energetico fondato sui combustibili fossili e contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici occorre il contributo necessario del nucleare, con il raddoppio dell'attuale numero di centrali esistenti al mondo. Insomma, significa che entro il 2030 occorrerebbe costruire almeno 400 nuovi reattori o giù di lì.

La sfida tecnica, politica, ambientale è enorme. Ma molto dipende da una domanda preliminare. C'è abbastanza materia prima per alimentare mille centrali nucleari nel mondo?

Poiché, in questo momento, il 40% del combustibile fissile viene dal riprocessamento di materiale radioattivo già utilizzato e in futuro questa percentuale potrà essere conservata grazie al riutilizzo del combustibile ottenuto dallo smantellamento delle armi nucleari in Usa e in Russia, la domanda è: esiste in miniera, estraibile a costi accettabili, uranio sufficiente per alimentare 500 o 600 centrali nucleari e soddisfare almeno il 60% della domanda?

A questa domanda rispondono da molti anni i tecnici dell'International atomic energy agency (IAEA) delle Nazioni Unite e della Nuclear energy agency (NEA) dell'Ocse, che pubblicano ogni due anni un rapporto sulle risorse di uranio disponibili sul pianeta. Il rapporto è noto come Red Book, libro rosso sull'uranio.

Nella sua ultima revisione il Red Book sostiene che nell'anno 2007 esistevano in miniera, estraibili a un costo non superiore a 130 dollari al chilo, almeno 5,5 milioni di tonnellate di uranio. Questa quantità è sufficiente a soddisfare il raddoppio della domanda mondiale per usi civili. In più è una quantità crescente. Nel 2005, infatti, le riserve stimate dai medesimi tecnici ammontavano a 4,7 milioni di tonnellate.

Tutto "bene", dunque, sul fronte della materia prima? Niente affatto, sostiene Michael Dittmar, un fisico svizzero che lavora all'Istituto di fisica delle particelle di Zurigo e al CERN di Ginevra che ha pubblicato, lo scorso 9 settembre, una sua revisione critica del Red Book: i conti non tornano. Dittmar ha analizzato le risorse disponibili nelle miniere dei 10 paesi maggiori produttori al mondo, dove si concentra oltre l'82% delle riserve planetarie di uranio.

E ha dimostrato che il limite economico dei 130 dollari per chilo è soggetto a enormi fluttuazioni, cui non sono estranei fattori politici oltre che tecnici. Ma ha dimostrato, soprattutto, che nei 10 paesi le risorse disponibili a questo prezzo sono decisamente inferiori a quelle previste dal Red Book e insufficienti ad alimentare la prevista crescita della domanda.

Insomma, non ci sarebbe abbastanza uranio per i progetti di Italia, Iran, Cina, India e di tutti gli altri paesi orientati a utilizzare anche l'opzione nucleare per modificare il paradigma energetico fondato sui combustibili fossili.

Noi non sappiamo chi abbia ragione, se i tecnici dell'Iaea e della Nea o Michael Dittmar e i tanti altri analisti che sottolineano la penuria di uranio. Certo è che la risorsa non è illimitata. E che prima di avviare il programma di "raddoppio delle centrali", di scatenare una "corsa all'uranio" con la relativa impennata dei costi della materia prima, di accendere la discussione sul "nucleare sì, nucleare no", conviene fare chiarezza assoluta sullo stato delle riserve della materia prima. (Pietro Greco - greenreport.it)

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