Il Punteruolo di Repubblica

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Lunedì, 14 Dicembre 2009

 

San Benedetto del Tronto - Mi aspettavo qualche commento all'inchiesta di Repubblica di giovedì 10.12 sul punteruolo rosso. Niente. Certo, anche noi [Verde Riviera Picena ovvero delle Palme] siamo nulla per Repubblica: neanche cagati. Nominate regioni come Lazio - Puglia - Liguria - Campania, città come Napoli - Palermo - Trapani - Catania - Marsala, la villa di Armani… Paolo Rumiz lo conosciamo, io lo stimo per i suoi libri sulla bicicletta, non sapevo che sapesse di punteruolo rosso, ma Giuseppe Barbera è un professore esperto, docente di colture arboree, e poi si citano ricercatori di tutto il mondo coi loro studi, esperimenti, analisi, progetti...

Tutto un fallimento. Nessuna speranza. Quindi la drastica raccomandazione: "Tagliare alla radice tutte le piante infette, subito". Prima di subito, anzi ieri. Distruggerle smaltendole con criterio. Sennò è peggio, non si salva una palma che è una.

Ma dalle nostre parti ce la prendiamo comoda, siamo allarmati ma possibilisti. Non disperiamo. Pensiamo di capirci di più. Da circa un anno si vedono giardinieri pensosi con scale e seghe attorno alle palme malate ad inventare rimedi. Tagli di tutti i tipi (alla radice, a ¼ di fusto, a metà fusto, più su, solo in alto), rifiniture a punta, a capitello, a cupola, a cipolla, cuffie grigie di tessuto-non tessuto o di plasticaccia, o niente cuffie, nastri bianco-rossi da incidente stradale o scena del crimine, barattoletti di qualcosa che sarebbe velenoso, qualche cartello che dopo 3 giorni non si legge più… Sembra che li aiuti una brava ricercatrice ( in scadenza di contratto). Dicono che hanno comprato seghe e forbici nuove e che quelli dei Lavori Pubblici gli presteranno un'altra scala.

S'osserva però che i volenterosi interventi appaiono casuali, lenti, inefficaci. Palme evidentemente già morte da mesi non ancora "trattate" (quindi pericolosissime, secondo Repubblica). Raffiche di tagli in zone seminascoste dove si passa poco. Privati piuttosto indolenti (o se ne fottono, o non hanno i soldi). Amministratori che accusano i vivaisti di fare i commercianti spregiudicati (dimenticando che loro stessi sono spregiudicati committenti).

E adesso, che la faccenda diventa appetitosa, la richiesta a chissachi di 500.000 euro per tentare altri rimedi. Sempre la solita cifra tonda, non insospettisce?

Io già l'ho detto: secondo me le palme si stanno suicidando in massa. Sono creature (quasi) pensanti, non ne possono più di trapianti e avvilenti potature estetiche [mi riferisco alla rasatura del fusto. Anni fa - i verdi si occupavano di verde, allora - un luminare ci disse che i fusti delle palme vanno lasciati in pace, mai rasati, perché si priva la pianta della protezione naturale dalle intemperie, dagli insetti, dall'inquinamento, dagli urti, dai vandalismi…]. Non ne possono più del brutto che le circonda, dell'edilizia soffocante, del cemento che in Africa non c'erano abituate. Non ne possono più del traffico, dei rumori, delle polveri sottili, delle puzze, dei fari puntati dal basso…

Le palme "infallibili indicatori ambientali e culturali", non lo dico solo io. Quindi, "per tutto un complesso di cose" - direbbe Paolo Conte - si suicidano.

Che c... dici, direte voi. Ma anche quelli di Repubblica sono scemi? Non sarà il caso di agire come si deve? Vogliamo perderle tutte, le nostre palme?

P.S./ Dall'articolo: potremmo magari fare come gli indigeni della Nuova Guinea, che hanno sconfitto il fetente punteruolo rosso mangiando le larve dell'insetto. Zampette e pungiglioni, anche crudi, sono gustosissimi, e si integra la dieta di proteine (una porzione, 30 - 35 punteruoli). Inventiamoci un brodetto… (Pier Giorgio Camaioni)
 



Estratto da repubblica.it del 10 dicembre 2009

Attenti, è ricercato per strage, il suo non è un identikit qualunque. Nome: Rhynchophorus. Cognome: Ferrugineus. Ordine: coleoptera. Famigerato nome comune: Punteruolo rosso. Provenienza: Sudest asiatico. Segni caratteristici: livrea vermigliae rostro similea un grande naso, da cui il nome. Capi d' imputazione: sterminio del paesaggio italiano. È l' incubo di scienziati e amministratori: sta eliminando la palma delle Canarie - Phoenix Canariensis - la più diffusa in casa nostra. L' ammazza mangiandola da dentro, fino a morderne la gemma apicale, il suo cuore segreto. Ha fatto danni immensi: 20 mila piante abbattute e altrettante malate, con rischio di estinzione della specie. È onnipresente: in cinque generazioni una coppia diventa cinquanta milioni di individui. Stati d' immigrazione in Italia: Egitto e Spagna. Prima comparsa sul suolo nazionale: Acireale, anno 2005. Diffusione attuale: Napoli, Lazio, Puglia, Sicilia e gran parte delle coste della Penisola, con forte stato d' allerta tra Costa Azzurra e Liguria. Palermo, dicembre, vento leggero sul lungomare del Foro Italico. Passeggiare sotto le palme delle Canarie dopo quattro anni di pestilenza è come passare in rassegna un plotone di granatieri dopo una battaglia. Da quando il divoratore è stato segnalato sull' isola, è cambiato tutto. Le più monumentali delle palme sicule sono malate, morte o rinsecchite. All' inizio si è tentato di resistere; nessuno si rassegnava. Oggi è la resa: in regione si sono abbattute 12 mila piante, alcune migliaia sono state dichiarate infette, un patrimonio di 100 mila esemplari è a rischio. Ville private, giardini e parchi pubblici sono segnati da ceppi decapitati, e un carrozzone di 27 mila addetti al verde sta imparando ad affrontare il nemico numero uno da Trapani a Capo Lilibeo. Marsala è trasfigurata, Catania fa pena. Persino Pantelleria è in sofferenza: lo stilista Giorgio Armani ha dovuto attrezzarsi con una scorta di antiparassitari e un giardiniere specializzato nella sua tenuta, dodici mesi su dodici. A Palermo la direzione del verde pubblico si ammazza di lavoro per salvare il salvabile: pianie protocolli di abbattimento, monitoraggio dei giardini, interventi chirurgici almeno sulle piante più belle,i patriarchi, gli emblemi della città. I privati, nelle residenze di Mondello, irrorano costosi antiparassitari; il grandioso viale d' accesso di villa Tasca costeggiato di palmizi tiene botta solo con potenti veleni. Ma il grosso muore. I sei "monumenti" che facevano la guardia al palazzo dei Normanni non ci sono più. Fusti denudati, vuoti improvvisi che cambiano lo skyline siciliano. Alle case comincia a mancare ciò che da sempre le segnalava da lontano: la palma. Dopo il cemento, la distruzione degli agrumeti e degli orti, è un altro pezzo della vecchia Palermo che scompare. Certo, si salvano le altre palme. Quella da datteri (la più antica, importata da Federico II imperatore) tiene duro, la Washingtonia pure, nel magnifico parco di Villa Giulia sono ancora lì, esili e misteriosamente intatte nonostante guerre, cicloni e pestilenze, ma proprio la "Canariensis" - la più robusta della specie - muore. In città non si parla d' altro; il maledetto Rhynchophorus pare aver cambiato la vita della gente, è diventato il secondo argomento di conversazione dopo il calcio. «In un Paese dove tutti sono allenatori, tutti si proclamano esperti di botanica, sicuri di avere il rimedio giusto», sorride Antonio Motisi, professore di culture arboree. Gli arrivano raffiche di telefonate: nessuno si dà pace, perché le palme - importate nell' Ottocento, a loro volta immigrate - sono anche un simbolo identitario; e così ecco sbucare maghi, guaritori e imbroglioni, prontia offrire pozioni miracolose. Le scuole hanno adottato ciascuna una trappola per catturare il killer, e quando il colpo riesce vanno in gita a vedere. E intanto la Regione Sicilia ha dichiarato l' emergenza per salvare il salvabile. In fretta, perché tutto è successo a una velocità da paura. La peste degli olmi arrivò con le casse di munizioni dell' esercito americano e nel dopoguerra sterminò gli "alberi degli zoccoli" di mezza Italia. Stessa provenienza bellica per il Seridium Cardinalis, che mise in ginocchio i cipressi alti e stretti di carducciana memoria. La farfallina che ancora si mangia gli ippocastani sbarcò via mare col legno esotico degli antiquari. Ma questo è niente. Oggi la velocità d' immigrazione di insettie parassiti alieni aumenta in modo esponenziale. Se la zanzara tigre è immigrata attaccandosi ai pneumatici, il punteruolo oggi sbarca dagli aerei, si annida negli aeroporti come le influenze. «Ce l' hai davanti appena esci dallo scalo di Fiumicino, nel giardinetto sotto la rampa dei treni - racconta l' entomologo Stefano Colazza - una dozzina di palme morte o mezze morte». E poi - sarà magari un caso - te lo ritrovi segnalato da altre palme agonizzanti dimenticate a ogni fermata del trenino per Roma. Trastevere, Tuscolana, Magliana. Intanto lui fa autostop e viaggia come un matto: in tre anni è entrato nelle mura dell' Urbe e s' è mangiato i più bei parchi della città. È il segno biblico di una mutazione globale che tutto rimescola, sconvolge clima e qualità dell' aria. Ora il Paese non ha più a che fare con malattie, ma con ecatombi,e quelle ecatombi portano allo scoperto eserciti invisibili, interi popoli dai complicati nomi latini venuti da terre lontane. L' Ips Typographicus, che cambia i connotati all' Appennino divorando gli abeti rossi. L' Amoplophora Chinensis, che devasta la Lombardia e stermina querce, betulle, aceri, carpini. L' Erwinia Amylovora, specialista nel micidiale "colpo di fuoco batterico" ai danni dei peri. E poi il Corineo, che attacca ciliegi e albicocchi, la Carpocapsa incubo dei produttori di mele, il Ragoletis del noce che si annida non si sa perché negli olmi del Vicentino, o il Cerambix Cerdo che fa ammalare i lecci. Arrivano in continuazione, a ondate. Qualcuno si fa persino annunciare, come la nuova malattia degli ippocastani che fa strage in Gran Bretagna, e tiene in allarmei fitopatologi dalla Normandia allo Jutland. S' è provato di tutto. Chirurgia (asporto di parti malate), trappole, riscaldamento per cuocere le larve, iniezioni di antidoti nel fusto, irrorazione chimica a pioggia, immissione di microrganismi - detti nematodi - capaci di diventare parassiti del parassita. Funziona così così, per un po' . Ma appena si smette, il divoratore ritorna. Così s' è capito: non c' è alternativa all' abbattimento con triturazione del fusto e all' impianto di robusti cordoni sanitari; un po' come in Israele, dove hanno fatto sul serio e si eliminano le piante sane per un miglio attorno ai focolai d' infezione. Ora anche la Sicilia ha scelto le soluzioni drastiche. Ma s' è aspettato troppo, lamenta da Catania Santi Longo, entomologo impegnato sul fronte. Non abbattere, dicono gli esperti, è stato come discutere dei rimedi della peste lasciando per terra il cadavere dell' appestato. Claudio Colognesi, perito agrario modenese, toglie ogni illusione: «Non c' è modo di beccare il killer prima che entri nella pianta». Quando te ne accorgi, è tardi. «Era meglio una profilassi preventiva», girano il coltello nella piaga quelli dell' Arbotec di Bergamo, che hanno in gestione anche i giardini vaticani. Mutazione biblica s' è detto. Fino a ieri gli orti e i giardini erano figli della pazienza: oggi, invece, nessuno vuole più aspettare. Si trasportano e trapiantano ulivi secolari, monumenti botanici, e così accade per le palme. I ricchi la vogliono subito al massimo della grandezza, di pronto effetto, davanti alle loro ville. «Così sbucano i faccendieri che rifilano piante malate, spacciate come nate in vivaio e in realtà venute da chissaddove, e queste fatalmente diventano come gli untori nella peste del Manzoni», racconta Claudio Littardi, quotatissimo difensore del verde pubblico a Sanremo. Un mix micidiale di fretta, vanità e malaffare. E non c' è difesa, aggiunge Maria Teresa Salomoni, ricercatrice del Cnr e collaboratrice della rivista Acer, specialista del verde italiano, «anche perché i cordoni sanitari e i controlli doganali fanno acqua da tutte le parti». Non è affatto semplice, per i servizi fitosanitari (sempre più trascurati dal potere), assumersi la responsabilità di bloccare un container di materiali deperibili per un semplice sospetto, e poi strappare il tempo necessario a fare le verifiche. Gli operatori, per poter lavorare, devono assicurarsi contro danni a terzi e la mano pubblica copre solo una parte della spesa. Un lavoro difficile, ai limiti del volontariato. Come fermare un' alluvione con un argine di sabbia. In Sicilia, lì al centro del mare più trafficato del mondo, a due passi dal Nordafrica, non c' è "ronda" che tenga. All' università di Palermo mostrano un filmato impressionante. La bestia entra attraverso le ferite della pianta, e da quel momento non esce più. Un clandestino perfetto, che buca le frontiere, ignora le leggi di Schengen, viaggia di nascosto su tutto quello che trova e poi scompare dagli schermi-radar per divorare la casa che lo ospita. Lo vedi creare un focolaio di fermentazione, un brodo che lo riscalda e che, in presenza di una quantità illimitata di cibo, lo fa prolificare al riparo dagli animali antagonisti. Allora non c' è più niente da fare. Non è come la Cameraria degli ippocastani, diventata familiare agli uccelli che hanno imparato a cibarsene. Tutto avviene "underground", sottopelle. Si forma la larva, il bozzolo, e così l' inquilino isolato diventa un esercito. «Palme di Palermo, possiate essere abbeverate di continuo da flussi di pioggia - scrisse otto secoli fa l' arabo Abd Ar Rahman a proposito del parco di Favara Maredolce - . prosperate e offrite riparo agli amanti... alle sicure ombre vostre regna inviolato l' amore». Echi di un Eden perduto. (PAOLO RUMIZ - repubblica.it)

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