Quasi una discarica di bandiere blu

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Venerdì, 8 Maggio 2009

 

Ieri la sede dell’autorità garante della privacy, a Roma, ha ospitato il convegno durante il quale sono stati presentati il programma e il rapporto dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti – PRO2 (di cui parliamo in altro articolo e che approfondiremo anche nei prossimi giorni) e che sono il risultato dell’attività di studio sul ciclo dei rifiuti e sulla promozione di indirizzi virtuosi e sostenibili.

Un appuntamento che in teoria avrebbe dovuto far accorrere frotte di giornalisti per sviluppare secondo diversi punti di vista, ma partendo da dei dati concreti, temi che solitamente interessano molto l’opinione pubblica. Almeno a giudicare esperenzialmente dalla quantità industriale di articoli dedicati ai temi dei rifiuti (ovviamente quelli urbani, che sono un quarto di quelli speciali, e che in gran parte non si sa, anzi non interessa sapere dove vadano a finire) e a giudicare invece da altri dati, quelli dell’osservatorio del Nimbyforum che fotografano un Paese in cui il fenomeno delle contestazioni territoriali ambientali è in continua crescita,in un contesto in cui mancano le regole per un coinvolgimento diretto del territorio. Lo testimoniano i 264 impianti censiti oggetto di quasi 5000 articoli di stampa apparsi nel 2008.

Eppure della conferenza stampa di mercoledì e del convegno di giovedì sui grandi (in senso quantitativo) giornali italiani non è apparsa una riga, nonostante le 4 (quattro) righe dell’Ansa (5 maggio, ore 19,07), e l’articolo dell’agenzia Dire, mentre la notizia è apparsa sul giornale online Il Velino, sul notiziario online Eco dalle città, ed è stata lanciata nel giornale di radio rai.

Quello che invece non manca, sui giornali di oggi, per rimanere in temi almeno pseudo ambientali, è la tradizionale glorificazione annuale della bellezza e pulizia delle spiagge italiane, che hanno fatto la solita incetta di bandiere blu della Fee. Bandiere che come ricordiamo ogni anno (in effetti ieri non ne avevamo proprio parlato, ci eravamo un po’ stufati!) vengono assegnate ai comuni che ne fanno richiesta e pagano il relativo costo dell’istruttoria, e che poi devono auto(!)certificare una serie di parametri di qualità che vengono talvolta verificati a campione dalla stessa Fee, pena l’esclusione (e la perdita dei soldi già versati all’agenzia).

Del resto una caratterista della sindrome Nimby è proprio il fatto di partire sempre da situazioni locali: nel 70,9 % dei casi monitorati dall’osservatorio media del Nimbyforum l’opposizione è sempre legata a uno specifico impianto, solo nel 9,1 % dei casi la contestazione riguarda un intero comparto produttivo o una determinata tipologia di impianto.

«C’è bisogno di un ritorno del senso di responsabilità di tutti i soggetti coinvolti – ammonivano in occasione dell’ultima presentazione i ricercatori del Nimby Forum - una visione del futuro che porti a una programmazione di sviluppo nel lungo termine. Per fare questo l’Italia deve ritrovare il senso del bene comune, cercare un rinnovamento delle procedure democratiche nella convinzione che tutela del territorio e sviluppo possono e devono convivere, per riuscire ad andare oltre il giardino».

Le occasioni per avviare un processo virtuoso del ciclo informazioni-partecipazione-decisione non mancherebbero, come dimostra appunto l’osservatorio nazionale sui rifiuti: la classica area di dissenso è fisiologica, ma per sopportare il dissenso è necessario avere strumenti e informazioni corretti, che invece non sembrano passare la cortina dei media, che in fondo non fanno altro che rispondere a un’esigenza dei lettori, ovvero del mercato: la semplicità si vende meglio della complessità, così come opporsi a un singolo impianto è più semplice che studiare numeri e proporzioni per dare il giusto peso ai cosiddetti rischi. (Diego Barsotti - greenreport.it)

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