Un super asteroide fa scattare nel mondo l’allerta anti nucleare

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Mercoledì, 4 Novembre 2009

 

MILANO — Gli specialisti del Pentagono e della Nasa hanno sciolto, con una con­clusione da brivido, il miste­ro per quanto è accaduto l’8 ottobre nel cielo dell’Indone­sia. Erano le 11 del mattino quando un tuono poderoso faceva tremare le pareti delle case della città di Bone lungo la costa e la gente correva in strada pensando al terremo­to. Ma guardando in cielo as­sistevano a una pioggia di polveri e a nuvole di vapore che la tv indonesiana ripren­deva mostrando l’enigmati­co fatto e diffondendo la pau­ra.

Una preoccupazione mag­giore assaliva i sorveglianti del Pentagono che nei conti­nenti gestiscono l’Internatio­nal Monitoring System, cioè quella catena di stazioni che con sistemi a infrasuoni regi­strano eventuali esplosioni nucleari sul pianeta o nell’at­mosfera. Così la Comprehen­sive Nuclear-Test-Ban Treaty Organisation controlla il ri­spetto degli accordi sul ban­do dei test nucleari. Anche a 18 mila chilometri di distanza da Bone gli appa­rati mostravano che qualco­sa di grave e violento era ac­caduto nell’atmosfera. Gli specialisti dell’US Air Force e di alcune università che lavo­rano per la Nasa riuscivano dalle registrazioni a risalire alla causa dell’evento.

Un asteroide di dieci metri di diametro era caduto nel­l’atmosfera alla velocità di venti chilometri al secondo. Sbriciolandosi nell’impatto soprattutto a un’altezza tra i dieci e i venti chilometri sca­tenava un’energia di 50 kton (equivalente a cinquantamila tonnellate di tritolo), vale a dire una potenza oltre tre vol­te superiore alla bomba ato­mica di Hiroshima, che era di quindici kton. Per fortuna la natura del bolide cosmico e la sua taglia consentivano la disintegrazione e la dissipa­zione in cielo dell’energia senza provocare danni al suo­lo se non un’onda d’urto che ha fatto temere il peggio. Ora è tutto chiaro, ma quanto è successo ha aumen­tato l’inquietudine per un’eventualità fino a epoche recenti nemmeno considera­ta. Statisticamente corpi di ta­glia simile cadono una volta ogni dieci anni. Ma il guaio è che non si riesce ad accorger­sene come in Indonesia per­ché gli strumenti disponibili non li «vedono».

«Al di sotto dei cento me­tri — dice Tim Spahr, diretto­re del Minor Planet Center di Cambridge (Massachusetts, Usa) sovrintendente a questo mondo dei pianetini — ne ab­biamo registrati ben pochi. Ma non certo di dieci metri. Per scoprirne anche di più grandi intorno ai venti metri occorrono telescopi più po­tenti e costosi». Il pericolo esiste, infatti, a partire da questa taglia perché sarebbe in grado di provocare disa­stri in superficie. Quello ca­duto a Tunguska nel 1908 aveva un diametro di cin­quanta metri e distrusse la fo­resta per duemila chilometri quadrati. Oggi esiste una rete di sor­veglianza, ma è ancora trop­po ridotta. Il Congresso ame­ricano ha chiesto alla Casa Bianca di elaborare una stra­tegia precisa entro l’ottobre 2010 tenendo conto delle in­dicazioni che entro l’anno ela­borerà il National Research Council.

Intanto la scorsa settimana al congresso della Società ge­ologica americana, Sankar Chatterjee, dell’Università del Texas, ha presentato i ri­sultati di un’indagine che cambia lo scenario all’origine della scomparsa dei dinosau­ri. Chatterje ha dimostrato che l’asteroide o cometa di quaranta chilometri, arrivato sessantacinque milioni di an­ni fa, cadde non nella Peniso­la dello Yukatan, ma in India, nel bacino di Shiva. L’impat­to creò uno strato di polvere che avvolse l’intero pianeta sconvolgendo il clima. (Giovanni Caprara - corriere.it)

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