La profezia della Nasa: "I mari più alti di 7 metri"

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Venerdì, 23 Ottobre 2009

 

È chiamato il "padre del riscaldamento climatico". E in effetti finora James Hansen, 68 anni di cui 28 spesi alla guida del Goddard Institute for Space Studies della Nasa, le ha indovinate tutte. Nel 1981 scrisse che il decennio successivo avrebbe segnato un picco di caldo e la previsione si avverò. Poi, all'inizio dei Novanta, disse che il primo decennio del nuovo secolo avrebbe battuto il record precedente e anche stavolta i fatti gli diedero ragione. Speriamo che adesso si sbagli perché lo scenario che disegna è da incubo: un aumento del livello dei mari di sette metri a fine secolo. Possibile?

"Non solo possibile", risponde al telefono Hansen, che nelle prossime settimane verrà in Italia invitato dal Wwf, "ma molto probabile se ci comporteremo come ha fatto l'umanità in un film appena uscito, The age of stupid: la trama è ambientata in un futuro dal clima sconvolto e si ricostruiscono le mosse dell'umanità all'inizio del ventunesimo secolo, quando ci sarebbe stato ancora il tempo per fermare la catastrofe ma nessuno agì. Noi ora viviamo quel momento, il momento in cui possiamo scegliere: imboccare la strada che ci consente di frenare il riscaldamento climatico o prendere la via che ci trascina verso un mondo simile al Pleistocene, quando il livello dei mari era più alto di 25 metri".

Eppure l'Ipcc, la task force degli scienziati Onu, parla di una crescita degli oceani di circa mezzo metro.

"Perché prende in considerazione, e lo precisa, solo alcuni fattori, come la dilatazione termica dell'acqua per l'aumento della temperatura. L'elemento cruciale, la deglaciazione, non viene conteggiato per una ragione molto semplice: il modello non riesce a calcolarlo in modo affidabile e, nel dubbio, il dato viene omesso".

Lei lo ha calcolato?

"Io non mi sono affidato ai modelli matematici ma all'analisi di quello che è realmente accaduto in passato quando la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha fatto un salto brusco. Raffrontando i dati di oggi con quelli paleo-climatici si può misurare la portata del rischio".

Misuriamola.

"Se non diamo un taglio drastico all'uso dei combustibili fossili, i ghiacciai della penisola antartica, che attualmente perdono 200 chilometri cubi all'anno, fonderanno nell'arco di un secolo. Il che produrrà un aumento di 6-7 metri del livello del mare a cui si dovrà aggiungere in collasso dei ghiacciai in zone come la Groenlandia".

L'alternativa?

"Ridurre subito in maniera radicale l'uso dei combustibili fossili, a cominciare dal carbone. Non c'è alternativa perché anche due gradi in più in un secolo sono troppi".

Fermarsi a due gradi sembra già difficile.

"Bisogna fare di più. Finora l'inerzia del sistema ci ha aiutato perché ad esempio la massa d'acqua degli oceani ha frenato il riscaldamento climatico. Ma l'inerzia non è un alleato nel lungo periodo: appena si rovescerà la tendenza, gli oceani cominceranno ad accelerare il processo".

Il problema deriva dalla concentrazione in atmosfera di gas serra. Dobbiamo bloccare la crescita a 450 parti per milione di CO2?

"No, bisogna invertire la rotta riportandoci dalle attuali 387 a 350 parti. Eliminando subito l'uso del carbone, nell'arco di una ventina di anni potrebbe iniziare la discesa per mettere in sicurezza il pianeta". (Antonio Cianciullo - repubblica.it)

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