Telefonate pericolose?

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Martedì, 21 Dicembre 2010

 

MILANO - I telefonini provocano tumori al cervello. Macché, sono assolutamente sicuri. Da anni se ne discute, ma le ragioni di chi vuole rassicurare hanno prevalso per ora sugli allarmismi dei più preoccupati. L’annuncio della pubblicazione sul Journal of Computer Assisted Tomography di un nuovo studio riapre la diatriba, mettendo in guardia dai cellulari e chiedendo a gran voce l’intervento delle istituzioni. Sotto accusa questa volta non sono solo i telefonini, ma anche i cordless di casa.

L’ANTEFATTO - Negli ultimi anni i principali protagonisti di questa battaglia, che si combatte a suon di pubblicazioni scientifiche, vede schierati da una parte i seguaci dello svedese Lennart Hardell, dell’Università di Orebro nella Svezia centrale, e dall’altra i sostenitori della più ampia ricerca pubblicata finora sull’argomento, lo studio Interphone, promosso dall’Organizzazione mondiale della Sanità e solo in parte finanziato dalle più importanti aziende di telefonia mobile presenti sul mercato mondiale. Lo svedese è un accanito sostenitore dell’esistenza di un pericolo reale, soprattutto per lo sviluppo di gliomi, rari tumori cerebrali e di neurinomi acustici, tumori benigni che si sviluppano nell’orecchio e che possono portare alla sordità. Secondo i risultati dello studio Interphone, invece, non esiste alcun nesso, se non un lieve aumento del rischio di glioma in chi trascorre dalle 5 alle 12 ore al giorno al telefono: un incremento quasi impercettibile data la rarità della malattia. La maggior parte delle istituzioni scientifiche, tra cui l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), sono quindi concordi nel diffondere segnali di ottimismo, concludendo che per ora i telefonini debbano essere assolti non per insufficienza, ma per assenza di prove.

LO STUDIO - A voler dire la sua sull’argomento è ora Rash Bihari Dubey, ricercatore dell’Apeejay College of Engineering, in India: lo studioso, finora sconosciuto nel campo delle ricerche sugli effetti sanitari delle onde elettromagnetiche, si è posto come giudice imparziale analizzando i risultati di tutti gli studi scientifici che hanno esaminato le conseguenze di un utilizzo di almeno dieci anni delle apparecchiature wireless. Tra le 11 pubblicazioni prese in considerazione dal ricercatore indiano, anche lo studio Interphone e i lavori firmati dallo studioso svedese. In attesa di vedere nei dettagli lo studio, quando sarà pubblicato, già le prime indiscrezioni basate sui comunicati stampa della casa editrice lasciano trapelare che l’ago della bilancia pende questa volta verso l’ipotesi a cui nessuno vorrebbe credere. Dubey conclude infatti che, sulla base dei dati oggi a disposizione, l’utilizzo a lungo termine dei telefoni cellulari può raddoppiare il rischio di sviluppare un glioma o un neurinoma acustico nell’emisfero cerebrale più a contatto con l’apparecchio telefonico, di solito il destro.

L'ESPERTO - In totale disaccordo con queste conclusioni si dice Paolo Vecchia, dirigente di ricerca all’Istituto superiore di sanità e Presidente della Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non-ionizzanti. «La metanalisi di Dubey rischia di provocare nuovamente inutili allarmismi - dichiara in maniera drastica -. La scarsa attendibilità del lavoro è dimostrata anche dal tipo di rivista su cui viene pubblicato: non occupandosi infatti di tematiche inerenti alla questione, nella scelta di pubblicare questo studio non si è probabilmente avvalsa di esperti in grado di giudicarne il discutibile valore scientifico». Gli organismi internazionali che si occupano di salute pubblica, prima fra tutti l’Oms, sono giunti infatti negli ultimi anni a conclusioni ben diverse e i maggiori esperti sono unanimi nel diffondere un messaggio rassicurante. «Dal comunicato stampa emesso dalla Lippincott Williams Wilkins, casa editrice della rivista che ha pubblicato la metanalisi, si ha l’impressione - continua Vecchia - che lo studio Interphone venga giudicato di scarso valore solo per il fatto di aver ricevuto parte dei finanziamenti da aziende produttrici di tecnologie wireless. Solo per questo si ritiene che i suoi risultati debbano essere stati in qualche modo falsati, senza tener conto che è stato eseguito sotto la supervisione di validi esperti e che i dati ottenuti sono stati certificati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità».

TRA PRESENTE E FUTURO - La speranza di trovare risposte chiare agli eventuali rischi che corriamo tutti i giorni passando ore attaccati ai cellulari viene riposta in un nuovo studio, denominato Cosmos, per il quale è iniziato il reclutamento in cinque Paesi europei (Gran Bretagna, Finlandia, Olanda, Svezia e Danimarca) di 250mila adulti, le cui condizioni fisiche verranno monitorate in tempo reale per almeno 20 anni in relazione all’utilizzo che faranno delle nuove tecnologie wireless. E nel frattempo, che fare? Il ricercatore indiano si rivolge in primo luogo ai diretti interessati, consigliando di ridurre l’esposizione con quattro semplici mosse: limitare allo stretto necessario il numero e la durata delle chiamate, privilegiare l’invio di sms alle conversazioni, imporre regole severe ai bambini e utilizzare gli auricolari (rigorosamente non quelli senza fili). Ma Dubey si rivolge anche alle aziende produttrici di telefonini e alle istituzioni, responsabili, secondo lo studioso, di rimanere impassibili di fronte a un, seppur potenziale, pericolo: da una parte invita i produttori di apparecchi wireless a mettere a punto nuove e più sicure tecnologie per ridurre le emissioni, dall’altra chiede ai governi di tutelare maggiormente i propri cittadini riconsiderando gli attuali limiti di esposizione previsti dalla legge. «Riguardo a quest’ultimo punto - conclude Paolo Vecchia - vorrei aggiungere che le grandi aziende di telefonia mobile stanno già facendo da anni passi in avanti in questo senso, se non altro perché ridurre le emissioni offre grandi vantaggi in termini di aumento dell’autonomia delle batterie e riduzione delle interferenze. Per quanto riguarda invece la richiesta di abbassare i limiti di esposizione, ritengo che, fino a quando non verranno ottenuti dati certi in merito, determinare in maniera del tutto arbitraria nuovi limiti non serva a nulla, se non a disorientare e spaventare inutilmente la popolazione». (Lisa Trisciuoglio - corriere.it)

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