Ghiacciai lombardi: -21 per cento

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Venerdì, 23 Luglio 2010

 

Ebbene, dai dati in possesso a Claudio Smiraglia, ex presidente del Comitato Glaciologico italiano e attualmente rappresentante del nostro paese presso l’International Glaciological Society e membro del consiglio scientifico del Comitato Evk2cnr, si evince che, similmente a gran parte delle catene montuose del resto del mondo, anche i ghiacciai alpini stanno perdendo spessore e tendono all'estinzione, mentre il permafrost sta fondendo rapidamente. A questi ritmi, in futuro il collasso della "criosfera" è praticamente accertato.

Secondo quanto scrive Smiraglia nel rapporto, la crisi climatica in atto ha fatto perdere ai ghiacciai lombardi il 21 per cento della loro superficie in un decennio. Questo depauperamento sta portando alla riduzione, se non all'estinzione, di una risorsa fondamentale a livello idrico. Per cercare di mantenere il più possibile intatto il ghiacciaio, gli scienziati stanno sperimentando una speciale coperta termica che ne dovrebbe ridurre lo scioglimento del 50 per cento. L'hanno applicata al ghiacciaio dei Forni in Valtellina. Altre coperte sono state applicate anche al ghiacciaio del Dosdè e al Presena.

Il fenomeno dello scioglimento è infatti diffuso all'intero arco alpino. La superificie coperta da ghiacciai in Alto Adige si è ridotta di oltre il 30 per cento tra il 1983 ed il 2006. Il dato viene dal catasto dei ghiacciai, presentato alla riunione estiva del Comitato glaciologico italiano tenuta a Bolzano. Rispetto al massimo avanzamento del XIX secolo si stima che in Alto Adige le aree ricoperte dal ghiaccio si siano ridotte del 66,2 per cento. Attualmente i ghiacciai coprono poco piu' dell'1,2 per cento della superficie altoatesina.

Se l'Alto Adige piange il Trentino non ride. Un esempio per tutti: secondo alcune recenti ricerche al ghiacciaio trentino del Careser, nel massiccio dell'Ortles-Cevedale, non resterebbero che trent'anni di vita. Lo ha detto in un'intervista al quotidiano locale "Trentino", il glaciologo Christian Casarotto, del Museo tridentino di Scienze naturali, in base ai rilievi effettuati da un progetto finanziato dall'Unione Europea.

Nel frattempo l’Università di Milano e il Comitato EvK2Cnr sono impegnati nel progetto Share Stelvio che porterà in Italia le tecnologie e le concezioni che negli ultimi anni hanno dato una prova straordinaria in zone lontane come Karakorum e Himalaya. Non che sullo Stelvio o sulle Alpi non si facciano monitoraggi: sulle Alpi vengono fatti ormai da un secolo e mezzo, le scienze della montagna d’altronde sono nate qui. Ma stavolta si tratta di creare un pool di studiosi, effettuare monitoraggi strumentali e applicare le concezioni che si sono rivelate molto efficaci in altre zone del pianeta.

Perchè proprio allo Stelvio? Perchè questo Parco nazionale, che il più grande d’Italia, è una zona di alta montagna antropizzata. Qui ci sono interessi sia di tipo scientifico stretto, sia di tipo applicativo: ovvero la conservazione dell’ambiente da una parte, e la vità quotidiana delle persone che ci abitano, dall’altra. La serie di monitoriaggi che i due enti scientifici hanno organizzato sarà d’aiuto per conoscere meglio il clima e l’ambiente del parco. E dall’altro lato, ci fornirà suggerimenti importanti per una corretta gestione ambientale di queste aree. (scienze.tv)

PS: più che di ulteriori monitoraggi sarebbe ormai tempo di cambiamenti... ma non climatici (RG)

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