Un mondo senza antibiotici?

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Martedì, 2 Novembre 2010

 

MILANO - In un’intervista rilasciata al New York Times nel 1945, Sir Alexander Fleming metteva tutti in guardia: secondo lo scopritore della penicillina, un uso inappropriato dell’antibiotico poteva portare alla selezione di "forme mutanti" e resistenti di Stafilococco aureo, capaci di provocare infezioni gravi non soltanto nei pazienti, ma anche nelle persone che stavano loro vicino. Fleming aveva ragione: dopo un anno di impiego diffuso della penicillina, una buona percentuale di questi batteri era diventata insensibile alla terapia. Da allora, nonostante la ricerca abbia prodotto decine di nuove molecole, le cose sono andate peggiorando fino a diventare davvero allarmanti. Oggi esistono germi invincibili, in grado di sopravvivere a tutti (o quasi) gli antibiotici destinati a ucciderli. L’ultimo è comparso in India e, complice il turismo sanitario di molti inglesi (che vanno a Delhi o a Chennay per sottoporsi a interventi di chirurgia, anche estetica, più economici che in patria), è riuscito ad arrivare in Europa e a provocare infezioni a volte modeste, altre volte mortali, secondo quanto ha segnalato poco tempo fa la rivista The Lancet.

PREOCCUPAZIONE - Così la preoccupazione negli ambienti sanitari sta crescendo. La comparsa di questi superbatteri ultraresistenti non è una novità: l’enterobatterio "indiano" è l'ultimo, ma sono già stati identificati batteri, chiamati Acinetobacter, contro cui la maggior parte delle molecole a disposizione in terapia è inefficace e che possono provocare infezioni gravi, soprattutto nei reparti ospedalieri di chirurgia o di terapia intensiva. E, ancora prima (fin dagli Anni 60 con un’impennata negli Anni 80 in Italia) sono stati isolati stafilococchi aurei cosiddetti meticillino-resistenti, in sigla Mrsa: batteri in grado di sopravvivere anche alla meticillina, l’unico antibiotico che poteva distruggerli. Ma fino a un certo punto la diffusione di questi batteri rimaneva confinata agli ospedali, ai reparti di rianimazione e di terapia intensiva e a quei pazienti che oggi sopravvivono grazie agli enormi progressi della medicina (trapiantati, malati tumorali), ma che sono anche più fragili e più suscettibili alle infezioni. Adesso sta accadendo il peggio: questi batteri iper-resistenti si stanno diffondendo sul territorio e il problema comincia a interessare anche i pazienti che si rivolgono al medico di famiglia. «D’altra parte la resistenza - spiega Francesco Scaglione, direttore della Scuola di specializzazione in Farmacologia medica dell’Università di Milano - è un sistema che i batteri sviluppano per sopravvivere alle avversità dell’ambiente e, quindi, all’aggressione degli antibiotici: Darwin insegna». Così si sono via via selezionati i germi più forti, così gli antibiotici (complice anche l’abuso che in questi anni se n’è fatto) sono diventati via via più inefficaci.

SORVEGLIANZA - «In Italia - dice Annalisa Pantosti, responsabile della rete di sorveglianza dell’antibioticoresistenza (Ar-Iss) all’Istituto superiore di Sanità - nel 40 per cento dei casi di infezione da stafilococco aureo (il germe può provocare polmoniti, ascessi o setticemie), viene segnalata resistenza agli antibiotici. L’Escherichia coli, un batterio che può essere responsabile di gravi setticemie come di banali cistiti, nel 40 per cento dei casi circa è insensibile ai fluorochinoloni». Il problema è reale, le soluzioni non sono semplici. «Fino a un certo punto la ricerca è stata al passo - commenta Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive all’Istituto superiore di Sanità -. Compariva la resistenza, arrivava il nuovo antibiotico. Ora, però, si batte un po’ la fiacca e i nuovi prodotti sono pochi». Quasi tutti gli antibiotici sono stati scoperti fra gli Anni 50 e 70, e negli ultimi dieci anni sono comparse soltanto due nuove classi di composti. L’industria farmaceutica non ha interesse a sviluppare molecole, come gli antibiotici, che, a differenza degli antipertensivi o degli antidiabetici, vengono somministrati per un breve periodo di tempo e, per di più, rischiano di diventare rapidamente inservibili per via delle resistenze. Se la ricerca ha rallentato la sua corsa, i batteri invece non stanno fermi e veicolano infezioni e resistenze da un capo all’altro del mondo. E il problema non è soltanto dei Paesi occidentali, ma anche di quelli in via di sviluppo: in Tanzania, il 70 per cento delle infezioni nei neonati è insensibile agli antibiotici consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. «I germi che acquisiscono resistenze - spiega Scaglione - sono in grado di trasferirle ad altri batteri attraverso frammenti di Dna chiamati plasmidi che possono addirittura essere trasportati da individui sani». I più pessimisti parlano adesso di era post-antibiotica. I più ottimisti continuano a credere nella ricerca medica e sono sicuri che gli scienziati, alla fine, sono sempre più furbi dei batteri. «La ricerca è una macchina potente: - dice Scaglione - quando ci si impegna i risultati arrivano». Attualmente sarebbero una cinquantina gli antibiotici in sviluppo secondo quanto è stato detto recentemente a Boston alla 50ma conferenza dell’Icaac, l’Interscience Conference on Antimicrobial Agents and Chemotherapy. Vale la pena crederci, perché un mondo senza antibiotici significherebbe non soltanto una ricomparsa alla grande delle malattie infettive, ma anche la rinuncia a molte delle terapie della medicina moderna. Senza antibiotici, tanto per fare un esempio, non si potrebbe operare un’appendicite e tanto meno trapiantare un organo. (Adriana Bazzi - corriere.it)

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