Durban, slitta l'accordo veti incrociati e divisioni

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Martedì, 13 Dicembre 2011

 

DURBAN - Non sono bastati 19 anni (quelli che ci separano dal vertice di Rio de Janeiro in cui è stata firmata la convenzione per la difesa dell'atmosfera) e 13 giorni (quelli che ci separano dall'inizio di questa diciassettesima conferenza per rendere operativa la dichiarazione di Rio). Il patto mondiale a difesa del clima, cioè per difenderci dagli uragani, dalle alluvioni e dalla risalita dei mari, rischia di affondare per l'incapacità dei governi di trovare un'intesa.

Se nel giro di poche ore l'accordo non salterà fuori la conferenza morirà per inedia, stroncata dalla lenta emorragia dei delegati che devono andarsene perché gli aerei sono stati prenotati e i governi dei paesi poveri non si possono permettere di aumentare all'infinito le spese per una conferenza in cui da due settimane si gira in tondo attorno agli stessi problemi.

Come già successe a Copenaghen due anni fa, è la somma dei piccoli errori che può creare le grandi catastrofi: la presidenza sudafricana della conferenza non è riuscita a creare la coesione sufficiente a saltare gli ultimi ostacoli. La via per avviare il processo di rivoluzione del nostro sistema energetico sostituendo l'efficienza e le fonti rinnovabili al petrolio e al carbone era stata tracciata: definizione di un accordo globale per abbattere le emissioni di gas serra entro il 2015, attuazione dell'intesa a partire dal 2020.

Era una via lenta e insufficiente ma offriva la speranza di poter accelerare nei prossimi anni. A quel punto però, nella notte, è cominciato il gioco dei veti incrociati. La Cina ha bocciato la piattaforma considerando non sufficiente l'impegno dei paesi industrializzati nel periodo 2013 -2020. L'Europa si è divisa anche grazie alla rigidità della presidenza polacca. Gli Stati Uniti sono rimasti a guardare sperando di veder affondare la barca. Gli Stati africani che rischiano di essere spazzati via dall'avanzata del deserto e le piccole isole che rischiano di venire sommerse dall'oceano hanno organizzato una pacifica manifestazione di protesta all'interno della conferenza. E l'unica risposta è stata espellere dai lavori il direttore internazionale di Greenpeace che aveva partecipato alla contestazione.

Una via d'uscita è ancora possibile e la maggioranza dei paesi europei (con il sostegno dell'Italia) l'ha indicata: impegno di Bruxelles ad aumentare il taglio delle emissioni serra nei prossimi anni all'interno del protocollo di Kyoto; definizione dell'accordo globale entro il 2015; partenza operativa in tempi rapidi e comunque non oltre il 2020.

Ma la riunione conclusiva viene spostata di ora in ora e l'ipotesi di accordo continua a slittare. Mentre la casa brucia (ed è l'unico punto su cui tutti sono d'accordo), si discute quale cravatta indossare per mettersi in salvo. (Antonio Cianciullo - repubblica.it)

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