La Grecia alla disperazione...

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Venerdì, 23 Dicembre 2011

 

[la piaga dell'austerity senza un nuovo modo di pensare l'economia]

«Le famiglie greche, secondo i dati della Confederazione nazionale del commercio ellenico, vivono in una situazione che appena qualche mese fa sembrava impensabile. Nove greci su 10 hanno abolito le spese per il vestiario e per le calzature, otto su 10 le spese per i divertimenti e un cittadino su quattro dichiara che gli non bastano i soldi per l'acquisto di generi di prima necessità. Soltanto un greco su quattro cerca di risparmiare per paura della situazione economica incerta. Mentre sempre un cittadino su quattro vive al di sotto della soglia di povertà, uno al limite della stessa soglia e due su quattro fanno ricorso ai loro risparmi per vivere».

Nella notizia, riportata da Ansamed, è condensata la situazione drammatica in cui versa il Paese ellenico. «In Grecia, a pochi giorni dal Natale e in piena recessione, si ha l'impressione che dovunque prevalga un'atmosfera di rabbia e di tristezza che ai greci di una certa età riporta alla memoria scene della Seconda Guerra mondiale e dell'occupazione tedesca del Paese: povertà, lotta quotidiana per la sopravvivenza, disperazione».

Questo si traduce in scene che fino a poco tempo fa era per noi comune associare soltanto a quei Paesi del secondo o terzo mondo, mentre solo nelle ultime settimane, in Grecia «sono stati registrati circa 200 casi di neonati denutriti perché i loro genitori non sono in grado di alimentarli come si deve››. Ad Atene, poi, ci sono insegnanti delle scuole elementari che ‹‹chiedono i pasti per i loro scolari che non hanno da mangiare, mentre in molte scuole la situazione è ancor più drammatica perché alcuni bambini sono svenuti in classe in quanto denutriti».

La piaga della denutrizione, tra bambini e adulti, è ben noto come nel mondo non sia stata ancora debellata - il che è ancora più grave se si pensa che questo prevalentemente per una cattiva gestione e distribuzione delle risorse alimentari prodotte, e non per una loro insufficienza cronica. Casi di denutrizione avvengono anche sul territorio del nostro Paese. Dove sta, dunque, la portata eccezionale della triste notizia? Che in Grecia questo fenomeno sta divenendo endemico. Esploso in poco tempo, rischia di dilagare. E la Grecia vive a pieno titolo all'interno dell'Europa e dell'Unione europea, la paladina dei diritti umani, della loro diffusione e della loro floridità. I greci sono più che cugini europei: come Roma è stata la culla del moderno linguaggio del diritto, Atene è stata quella del linguaggio filosofico. Le due capitali rappresentano le due colonne d'Ercole, la porta d'ingresso principale per accedere alla cultura alla base del sentimento europeo, a ciò che ci unisce e che ci troviamo ora a difendere nella tenuta dell'Ue.

Per opera della finanza e dell'economia malate d'individualismo troppo egoista, il benessere conquistato nel dopoguerra si sta sfaldando nelle nostre mani. La Grecia è molto vicina: il motto che lega i nostri due popoli, "una faccia, una razza", potrebbe caricarsi presto di un nuovo significato. Le differenze nell'economia di Italia e Grecia sono enormi, ma entrambi hanno oggi tassi d'evasione fiscale e corruzione altissimi, debito pubblico troppo ampio, e - in particolar modo la Grecia - sentono il proprio capo forzatamente piegato dalle richieste della troika, che dall'alto impongono manovre che falcidiano risorse e diritti, portando alla recessione.

Pierpaolo Benigno, oggi sul Sole24Ore, scrive: «ridurre i debiti significa utilizzare i propri risparmi per ripagarli che, quindi, non si direzionano verso gli investimenti; significa anche risparmiare di più, cosa che, invece, va a ridurre i consumi. Tutto questo deprime la domanda aggregata e la crescita. Quando a fare il deleveraging è il settore pubblico, l'austerità non può che avere effetti depressivi [...] Cosa certa è che fra i costi economici e quelli sociali del deleveraging c'è dietro una grande polveriera che potrebbe esplodere con percorsi e sviluppi che sono ora inimmaginabili. Siamo sicuri che l'aggiustamento migliore passi proprio attraverso una riduzione ordinata dei propri debiti?».

La nostra economia è pensata per vivere di debito e acquistismo: se uno di questi due elementi viene a mancare, in questo caso con una riduzione del debito, non si guarisce l'economia malata. La si affonda. I debiti dei Paesi periferici dell'Ue sono indubbiamente esagerati, ma pensare in primis alla loro riduzione è concentrarsi sul male minore, senza occuparsi del malato. Serve altro per non colare a picco, c'è necessità di imboccare una trasformazione culturale, mentre noi abbiamo disimparato dal diffidare e dal rinunciare all'opulenza dei beni materiali che ci accompagna dalla nascita.

Quel che manca è una riflessione seria, serrata e democratica sull'aspetto che dovrà presto e forzatamente avere la sfera dell'economia, intrecciata a quella sociale e quella ecologica. Procedendo ad una ridistribuzione di redditi, diritti e risorse ecologiche (all'interno di questa generazione e nei confronti delle successive), pianificando cosa dovrà crescere e cosa no, misurando in modo alternativo il nostro sviluppo, e camminare così lungo una linea d'equilibrio, che è per definizione proprio quella della sostenibilità. (Luca Aterini - greenreport.it)

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