2-3-8: è un gioco? No, è uranio

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Domenica, 5 Giugno 2011

Sono trascorsi circa tre mesi dal sisma che l’11 marzo ha colpito il Giappone. Si è generato al largo della regione di Tohoku, nella zona settentrionale del paese e il suo epicentro è stato in mare a ben 24,4 Km di profondità.

La terra ha tremato per cinque interminabili minuti raggiungendo magnitudo 9 secondo la scala Richter, la quale misura l’energia sprigionata al momento del sisma che, in questo caso, è paragonabile all’esplosione di 31,6 miliardi di tonnellate di tritolo. Dalla scossa, si è generato un maremoto (tsunami), che ha causato disastrose conseguenze, seppure la terra del sol

levante sia abituata a convivere coi terremoti e, di conseguenza, vengano adottate le dovute attenzioni nella costruzione di edifici e infrastrutture.

Dopo il terremoto dell’11 marzo delle ore 14.46, ve n’è stato un altro ancor più devastante e temibile: non mi riferisco alle scosse telluriche successive, bensì a quello il cui epicentro corrisponde alla centrale nucleare di Fukushima. Questo sisma è tuttora in atto e lo sarà per molto tempo ancora!

Nelle settimane successive all’avvenimento, abbiamo osservato un paradosso inquietante: mentre l’incidente lasciava le prime pagine delle testate giornalistiche e i titoli d’apertura dei telegiornali, dando la sensazione di un fatto ormai passato e superato, in Giappone la situazione diveniva sempre più allarmante, sino a classificare questo incidente al massimo livello di pericolosità, il medesimo attribuito a Chernobyl.

Fukushima e Chernobyl non hanno in comune soltanto il grado massimo di pericolosità circa la contaminazione nucleare, ma pure il comportamento omissivo delle autorità. Infatti, anche un popolo così rigoroso, composto e disciplinato come quello giapponese, proprio per questo motivo, ha manifestato la sua sfiducia con dichiarazioni pubbliche e manifestazioni di piazza.

Sarebbe naturale, intendendo affrontare il tema del nucleare, approfondire ciò che è accaduto e sta accadendo a Fukushima, ma mi pare ancora più importante, per una maggiore comprensione delle implicazioni e delle conseguenze, volgere lo sguardo a Chernobyl, a distanza di venticinque anni.

Nei giorni successivi al 26 aprile 1986, data indimenticabile per milioni di persone, abbiamo assistito a un comportamento di aperta negazione del rischio da parte del governo russo, che ha poi deciso di secretare informazioni fondamentali sull’entità del disastro. All’epoca, si parlò della “nube” radioattiva con paura e disorientamento, ma poi venne spazzata via dal “vento minimizzatore” non solo russo, ma anche internazionale al punto che, dopo vent’anni dall’incidente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Agenzia atomica internazionale hanno affermato che l’esplosione del quarto reattore aveva in realtà soltanto riguardato l’Ucraina, la Bielorussia e la Russia europea.

Purtroppo, la verità risulta essere un’altra: non è una verità dettata dall’emotività soggettiva, ma da dati oggettivi, seppure diffusi con grande parsimonia. Infatti, nel dicembre 2009, la New York Academy of Sciences ha pubblicato un volume, redatto da scienziati russi e bielorussi, il quale ribalta completamente le rassicurazioni dell’OMS.

Secondo questo rapporto, le emissioni radioattive sono state cento volte superiori alle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki: hanno colpito non soltanto i territori limitrofi, ma anche gran parte dell’Europa e, dato che l’effetto di alcuni radionuclidi, è a lungo termine continuano e continueranno a farlo; da qui al 2056 dovremmo attenderci diverse centinaia di migliaia di morti in più come conseguenza degli effetti della contaminazione.

Indipendentemente dalle posizioni pro o contro il nucleare, dovremmo rammentare che per un numero non precisamente definibile di individui su questo pianeta, l’esplosione avvenuta il 26 aprile 1986 ha lasciato una traccia indelebile e diviso la storia umana in un “prima” e un “dopo” Chernobyl.

L’incidente di Chernobyl e quello recente a Fukushima hanno mostrato drammaticamente il limite della conoscenza tecnologica di cui disponiamo, l’eroismo e il coraggio di alcuni uomini senza nome - i liquidatori - che hanno lavorato per cercare di contenere la fuoriuscita delle radiazioni, e contemporaneamente abbiamo assistito alla mancanza di trasparenza delle autorità statali che non hanno avvisato la popolazione riguardo le tragiche e inimmaginabili conseguenze per vittime innocenti.

Chernobyl prima, Fukushima dopo, hanno reso evidente che gli impianti nucleari, anche se definiti sicuri, rappresentano un pericolo maggiore delle armi nucleari. Un reattore può inquinare letteralmente mezzo pianeta; infatti, la radioattività proveniente da Chernobyl si è diffusa in tutto l’emisfero settentrionale. Nel rapporto presentato, si stima che non meno di tre miliardi di persone vivano nelle aree contaminate dai radionuclidi di Chernobyl: più del 50% della superficie di 13 paesi europei e il 30% di altri otto compresi nei territori asiatici, del nord Africa e del nord America. Secondo leggi biologiche e statistiche, le conseguenze sulla salute degli individui saranno evidenti in queste aree per molte generazioni.

Vorrei citare le parole del Segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, circa il disastro di Chernobyl, poiché sono pronunciate da un uomo e non da uno stratega, quindi, esprimono più sinceramente la sofferenza e l’inquietudine dinanzi a una tale tragedia. Agli esperti sul nucleare i quali conclusero che, nell’insieme, le conseguenze avverse per la salute non erano state così gravi come si era pensato al principio, egli rispose con queste parole: «Chernobyl è una parola che tutti noi vorremmo cancellare dalla nostra memoria. Tuttavia più di sette milioni di esseri umani non possono permettersi il lusso di dimenticare. Stanno ancora patendo oggigiorno e ogni giorno le conseguenze di quanto è successo … Non si potrà mai conoscere l’esatto numero delle vittime. Tre milioni di bambini hanno bisogno di cure fino al 2016 … la loro vita futura sarà deformata da Chernobyl, come pure lo è la loro infanzia. Molti di loro moriranno prematuramente».

Vi sarebbe ancora molto da dire, ma è giunto il tempo anche di agire. La Germania, ad esempio, entro il 2022, metterà fine all’esperienza del nucleare spegnendo gli ultimi reattori e continuerà a investire ancor più massicciamente sulle energie rinnovabili. E l’Italia? Ci attende il referendum del 12 e 13 giugno: un appuntamento molto importante per esprimere un pensiero, una scelta fatta da uomini consapevoli e da cittadini responsabili.

Seppure spesso facciamo finta di non ricordare e sul tema sembriamo d’essere ancora alla preistoria, l’Italia ha una sua ben precisa esperienza per quanto riguarda la produzione di energia nucleare, che ha avuto inizio nel 1963, quando venne costruita la prima centrale a Latina e alla quale seguirono quelle di Sessa Aurunca, Trino e Caorso. Già nel 1966, l’Italia era il terzo paese al mondo (dopo Stati Uniti e Gran Bretagna) per produzione di energia nucleare. Poi il 26 aprile 1986 il popolo italiano si destò e riconobbe una verità sino a quel momento taciuta: l’energia nucleare è un pericolo costante e al di fuori del controllo umano.

In Italia, vi fu il referendum popolare e quasi trenta milioni di aventi diritto al voto andarono alle urne per bandire il nucleare dalla nostra storia nazionale. Almeno così credevamo!

Nel 1990 venne dismessa l’ultima centrale. La storia del nucleare è durata un ventennio circa, eppure è stato un tempo sufficientemente lungo per generare scorie radioattive che non sappiamo come gestire, le quali ancora oggi inquinano mari e terreni coltivati. Attualmente, i materiali più pericolosi in assoluto si trovano a Caorso (1032 barre di combustibile), a Trino (47 barre) e alla Fiat di Saluggia (370).

Annullando la volontà di noi cittadini, in Italia, il tema nucleare, oltre alle nostre esistenze, è tornato a minacciare la nostra libertà di scelta, facendo passare, attraverso i mezzi di informazione messaggi condizionanti e ingannevoli quali: “il nucleare è una fonte di energia rinnovabile e sarà la prossima fonte energetica del futuro del mondo”. Viene naturale domandarsi come si possa trattare di un’energia rinnovabile visto che le materie prime necessarie alle reazioni, come ad esempio l’uranio, sono assolutamente limitate e inoltre come possa rappresentare il futuro del mondo se un incidente sia in grado di mettere a repentaglio metà pianeta. Di assurde affermazioni ne sono state fatte in abbondanza, anche da personaggi rassicuranti per la popolazione, perché aventi ruoli di spicco in ambito scientifico. Una particolarmente suggestiva, pronunciata nei primi mesi del 2011, è stata: “il nucleare di nuova generazione è sicuro: un disastro come Chernobyl non potrà ripetersi”. Tant’è che a distanza di poco tempo abbiamo assistito, impotenti, a un altro film dell’orrore: Fukushima.

Addirittura l’attuale presidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, Umberto Veronesi, oncologo, non si è risparmiato nel sostenere la necessità di investire sull’energia nucleare per poter essere un paese al passo coi tempi; per rassicurare i timorosi (o forse i timorati!) ha affermato che “le scorie nucleari le porterebbe nella sua camera da letto” .

Vorrei però orientare l’attenzione, al di là delle diatribe, su tre aspetti che riguardano il nucleare, i quali stimolano sicuramente domande, ma non altrettante risposte, come “i signori del nucleare” vogliono farci intendere: mi riferisco alla sicurezza, allo smaltimento delle scorie e alla mancanza di democrazia.

Sul primo punto, ci siamo fermati parlando di Chernobyl e Fukushima, ma in verità in 50 anni di storia dell’energia nucleare circa 150 sono stati gli incidenti nucleari confermati, di cui 14 compresi fra i livelli 4 e 7 della scala di pericolosità. Inoltre la presunta sicurezza delle centrali si basa su una concezione di rischio relativa alla singola zona. In Giappone, ad esempio, non ritenevano che potesse verificarsi un terremoto d’intensità superiore alla magnitudo 8.5, quindi le centrali venivano costruite per resistere a scosse sino a quell’entità … il sisma dell’11 marzo 2011 però ha raggiunto la magnitudo 9.0 !

Sul tema della sicurezza, in occasione dell’ormai prossimo referendum, i sostenitori del “SI” forniscono numerose informazioni meritevoli di attenzione, i sostenitori del “NO” ribadiscono che le centrali di ultima generazione offrono delle garanzie notevoli e giustificano ciò che è avvenuto a Fukushima con “quella centrale era di vecchia generazione”. Dovremmo però chiederci: quante sono le centrali di vecchia generazione attualmente ancora in funzione? Ce n’è una che si chiama Indian Point: è a 27 km da New York e dagli Anni '70 nutre la Grande Mela; è stata valutata dagli stessi USA la meno sicura del paese. Nel mondo sono comunque 152 le centrali con oltre 30 anni di servizio e solo 79 quelle con meno di 20 anni d’età.

Vorrei però affrontare il tema della sicurezza in modo più ampio, non facendo riferimento soltanto alle centrali, che in questo periodo sono sotto accusa, ma al nucleare e all’uso che i governi ne fanno, generando contaminazioni non dovute a un “maldestro” terremoto che è stato più forte di quello che ci si potesse attendere, ma alla volontà di utilizzare questo pianeta ignorando le possibili e pericolosissime correlazioni fra gli eventi.

E’chiaro che il problema della centrale a Fukushima è stato la conseguenza del terremoto. Ma se dicessimo che alcuni terremoti, alcuni fra i più violenti degli ultimi 60 anni, fossero in relazione agli esperimenti nucleari, cosa pensereste? E’ una casualità che dagli anni ’50, quando sono iniziati i primi esperimenti nucleari, si siano verificati forti terremoti superiori alla magnitudo 7.0 della scala Richter?

Nel 1974, uno scienziato del National Center of Atmosferic Reserach, scoprì che dopo alcuni esperimenti nucleari, la ionosfera e il campo magnetico terrestre venivano disturbati per un periodo che variava dai 10 ai 15 giorni, portando addirittura a oscillazioni dei poli. Ovviamente le ricerche non poterono proseguire, anche se altri ricercatori evidenziarono una singolare correlazione fra la data dei cosiddetti test nucleari e i terremoti importanti verificatosi in tempi molto brevi.

Tale argomento meriterebbe un ampliamento e soprattutto una maggiore attenzione, ma il nucleare muove interessi, non soltanto economici, che superano anche le visioni più fantasiose.

Parlando ancora di sicurezza, che dire dell’uranio impoverito utilizzato a scopo bellico? Esso è un prodotto di scarto del processo di arricchimento dell’uranio: viene utilizzato nelle armi di distruzione di massa ma anche nei reattori delle centrali nucleari. Riesce a distruggere i carri armati e i veicoli blindati perché raggiungendo una temperatura di 10.000 gradi penetra nelle corazze dei mezzi. Mentre distrugge, genera tre tipi di ossidi tra cui l’ossido di uranio: una polvere nera e sottile che rimane sospesa nell’aria ma che, a seconda del vento e delle condizioni climatiche, può viaggiare per molti chilometri nell’atmosfera. Ormai, viene abitualmente utilizzato nelle guerre, anche in quelle dichiarate in nome della “pace”: è accaduto in Iraq e recentemente in Libia. Silenziosamente, ciò porterà a un significativo aumento di patologie correlate alla contaminazione radioattiva, pur non essendo nei pressi di una centrale. Uno studio di Massimo Zucchetti, docente del Politecnico di Torino, ha messo in evidenza come nei prossimi 70 anni, nelle zone bombardate della Libia, i casi di cancro aumenteranno di circa 6000 unità. Nel tempo quindi non ne faranno le spese gli obiettivi militari, ma i civili, gli uomini, ancora una volta vittime innocenti e addirittura inconsapevoli.

Il problema, in sintesi, a mio avviso, non sono le centrali, ma è proprio il nucleare che presuntuosamente l’uomo vuole utilizzare, ma di cui, da un canto, ignora molti aspetti, dall’altro, permette che pochi “signori” abbiano il dominio sulla moltitudine. In questo, “i padroni del petrolio” hanno già fatto scuola!

La conferma dell’esigua e parziale conoscenza dell’energia nucleare è anche dimostrata dalle modalità di smaltimento dei rifiuti radioattivi e dalla costruzione dei siti di stoccaggio. Se rispolveriamo velocemente gli studi di chimica e rammentiamo i tempi lunghissimi di decadimento dell’uranio, del plutonio e via di seguito, il tema è già ampiamente affrontato. Vi sono delle scorie che rimangono radioattive per oltre 200 mila anni (il plutonio 241.000 anni!). Dove e come dovremmo conservarle? Per il momento, non esistono materiali con i quali possano essere costruiti contenitori in grado di durare così a lungo. Col nucleare mettiamo a rischio non solo il nostro presente, ma condizioniamo brutalmente anche l’esistenza delle generazioni future riempiendo le viscere della Terra e la profondità dei mari di materiali pericolosissimi, posizionandoli con la conoscenza (limitata) che abbiamo attualmente dei luoghi, che possono cambiare aspetto anche solo in cinquant’anni o in pochi minuti in seguito, ad esempio, a un sisma.

Sino ad ora nessun paese al mondo possiede un deposito geologico in grado di accogliere i rifiuti radioattivi che abbiano un tempo di decadimento di migliaia di anni. Come è possibile trascurare questa considerazione? Cito due esempi che ritengo fortemente chiarificatori.

La Germania non possiede un deposito nazionale per le scorie di “terza categoria”, quindi, altamente radioattive: per cui ogni centrale nucleare ha il suo deposito, ma è ovviamente temporaneo e all’“aperto”. Quello predisposto per le scorie a media e bassa attività corrisponde alla miniera di sale di Hasse, in Sassonia, il quale verrà chiuso entro il 2020 per motivi di sicurezza, poiché il sito, dopo soli 35 anni, non si è dimostrato adeguato come invece era stato assicurato dagli specialisti del settore: vi è infatti un’infiltrazione di 12.000 litri di acqua al giorno che mettono il sito a rischio di crollo in qualunque momento.

Le autorità hanno stabilito che i fusti contenenti materiali radioattivi dovranno essere riesumati, riaprendo camere sigillate, facendo uso solo di macchine dato che l’uomo, vista la pericolosità, non può avvicinarsi. I costi di tali operazioni? Si parla di 10 miliardi di euro, pagati col denaro pubblico, e non dall’industria nucleare. Mi domando inoltre: sanno precisamente quali tipi di scorie siano state depositate in questi anni?

Volgiamo ora lo sguardo alla vicina e nuclearizzata Francia. E’ stato predisposto da molti anni lo smaltimento dei rifiuti a medio-bassa attività in depositi superficiali: quello di La Hague, ormai al completo, e quello di Aube ancora attivo. La ricerca invece di un sito adatto ad accogliere i rifiuti ad alta attività è iniziata negli anni ’80 e sino ad ora è stata decisa soltanto la costruzione di un laboratorio sotterraneo per lo studio della soluzione geologica. Il 7 ottobre 2010 EDF, il gestore elettrico francese, ha segnalato un allarme sulla crescita dei costi e i ritardi sulla ricerca: il progetto, iniziato nel 2006, doveva costare 15 miliardi di euro; invece ora si parla 35 miliardi di euro e il 2015 come data di inizio operatività è posticipata. Non mi paiono vi siano segnali di risparmio per gli stati che investono sull’energia nucleare!

Un altro aspetto, a mio avviso poco considerato, correlato all’energia nucleare è quello dell’assoluta mancanza di democrazia nella sua gestione. Le centrali nucleari, nel mondo, sono sotto controllo di enti che, come accade in ambito militare, possono decidere quali informazioni diffondere e quali secretare. Renaud Abord de Chatillon, ingegnere membro del Conseil général des mines, il collegio che si occupa del controllo sul nucleare in Francia, ha fatto un’affermazione eloquente e direi preoccupante: «l’industria del nucleare non sa che farsene della democrazia, è simile a un’aristocrazia repubblicana. E dove c’è aristocrazia non c’è spazio per la democrazia». Ma non ci viene continuamente detto che il nucleare è necessario per far fronte al fabbisogno energetico della nostra società, che se non erro, si definisce “democratica”? In Italia, d’altronde, la popolazione non è tenuta a sapere dove vengano depositate le scorie, poiché i siti sono coperti da “segreto di Stato”. Ma lo Stato non siamo noi?

Se ponessimo veramente maggiore attenzione, ci renderemmo conto che al nucleare sono correlati numerosi aspetti o meglio pericoli, che non possiamo sottovalutare.

Il 12 e 13 giugno 2011 c’è un appuntamento che non dobbiamo dimenticare: il referendum abrogativo, dove verranno prese in considerazione due tematiche di grande importanza (anche se i quesiti saranno quattro).

Indipendentemente dalla tematica della privatizzazione, meritevole di approfondimenti in altra sede, l’acqua è strettamente correlata al tema del nucleare perché è sempre il primo elemento a fare le spese dell’inquinamento radioattivo ed è immediatamente chiamata in causa per quanto concerne la contaminazione delle falde acquifere.

Senza dover teorizzare, è sufficiente pensare all’attuale situazione a Fukushima dove, a seguito di misurazioni eseguite proprio in questi giorni, l’acqua di mare è risultata altamente radioattiva (cesio 134, cesio 137 e iodio 131) nei pressi delle prese dei reattori 3 e 4. Inoltre, ricordiamo che è con l’acqua che si raffreddano le centrali ed è nell’acqua che vengono lasciate riposare per 5-10 anni le barre di uranio esauste dopo essere state utilizzate nelle centrali.

Volendo però essere corretti e coerenti, dovremmo correlare l’acqua a ogni aspetto della nostra esistenza sul pianeta, essendo il codice stesso della Vita, anche se a volte pare che ne dimentichiamo il valore e l’importanza trattandola solo come un liquido utile per mille usi.

L’acqua e la radioattività sono due temi fondamentali in questa fase storica, perché un uso non consapevole e non responsabile di questi due elementi da parte dell’uomo può condurre alla distruzione, all’estinzione.

Il problema non è soltanto l’acqua utilizzata dalle centrali, ma anche l’acqua che contiene sostanze tossiche per l’uomo, l’acqua che viene “devitalizzata” e impoverita perché sottoposta a (mal)trattamenti che non rispettano la sua natura.

Dovremmo tutti cercare d’essere più attenti poiché il problema radioattività non è solo quello rilevato in prossimità delle centrali in caso di incidente, ma anche, più semplicemente, quello della piccola nube, contenente polonio 210, sprigionata dalle sigarette: sì proprio della sigarette! Che nel fumo del tabacco delle sigarette sia presente una radioattività alfa del polonio 210 è risaputo da oltre trent’anni, anche se pochi sono coloro che ne parlano, come ancora troppo pochi sono coloro che hanno deciso di smettere di fumare.

Direi che è giunto il tempo per tutti noi d’essere uomini più consapevoli e cittadini più responsabili. (Anna Teresa Iaccheo & Riego Gambini)

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