Doha, raggiunto accordo. Kyoto prolungato fino al 2020

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Domenica, 9 Dicembre 2012

 

DOHA - Con 24 ore di ritardo e il delegato russo che batteva la bandiera sul tavolo per protesta, si è conclusa la conferenza sul clima delle Nazioni Unite. Ha prodotto il Doha climate gateway, ma dietro questa pretenziosa definizione c’è ben poco. Si indica il gateway, il percorso per la sicurezza climatica, ma non si fanno reali passi in avanti. La strada per la salvezza dell’atmosfera è tracciata, ma tutti restano fermi o quasi. Certo, il disappunto di Mosca rivela che il tentativo di vendere “hot air”, aria fritta, cioè riduzioni di emissione di CO2 frutto del collasso industriale del sistema sovietico conteggiate come voce positiva nel bilancio di alcuni paesi, è stato rintuzzato. Ma il bilancio delle due settimane di trattative resta scarno.

Unione europea, Australia, Svizzera e Norvegia hanno firmato il «Kyoto 2», la seconda fase di impegni prevista dal protocollo siglato in Giappone nel 1997, ma la misura dei tagli dei gas serra nel periodo 2013 – 2020 sarà decisa solo il prossimo anno. Per l’accordo più ampio, che dovrà includere tutti i paesi, è confermata la corsa contro il tempo: l’intesa va raggiunta entro il 2015 e diventerà operativa dal 2020. Per il Fondo Verde, destinato ad aiutare i paesi più poveri nella transizione tecnologica verso un sistema produttivo a basso impatto ambientale, a Doha i paesi europei hanno messo sul tavolo 8 miliardi di euro: si dovrà arrivare a 100 miliardi all’anno entro il 2020. Il negoziato ha retto a un duro colpo: dal protocollo di Kyoto si sono sfilati Canada, Russia e Giappone. Il drappello che resta è responsabile di un pacchetto di emissioni serra pari al 15 per cento del totale. La sopravvivenza del trattato del 1997 ha dunque ormai soprattutto un valore simbolico, rappresenta il filo di continuità della lunga trattativa per difendere il clima che conosciamo.

La vera partita è l’intesa globale, e su questo fronte i giochi sono appena iniziati. Al momento però i numeri comunicati dagli Stati come obiettivi di riduzione consentono di arrivare a un taglio delle emissioni serra che è meno di 10 volte quello che i climatologi delle Nazioni Unite considerano necessario per garantire la sicurezza di tutti. Secondo il rapporto Unep (il Programma ambiente dell’Onu), per mantenere il riscaldamento sotto i 2 gradi le emissioni dei vari gas serra (misurati in termini di equivalenza all’anidride carbonica) devono scendere a 44 miliardi di tonnellate entro il 2020: oggi siamo già a circa 50 miliardi e senza interventi nel 2020 arriveremmo a 58 miliardi. Le riduzione annunciate valgono appena 1 miliardo di tonnellate.

“Il bicchiere di Doha è per tre quarti vuoto e per un quarto pieno: anche la crisi ha pesato”, ha commentato il ministro dell’Ambiente Corrado Clini. “Abbiamo evitato di far crollare il processo del negoziato, ora bisogna trovare la maniera di imprimere un’accelerazione”. “L’Italia deve fare la sua parte”, commenta Mauro Albrizio di Legambiente, “rivedendo la Strategia energetica nazionale che invece di puntare decisamente sulla riduzione del consumo di fonti fossili propone un rilancio della produzione di idrocarburi nazionali, individuando invece per l'efficienza energetica e per le fonti rinnovabili strumenti del tutto inadeguati". (Antonio Cianciullo - repubblica.it)

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