Buste biodegradabili flop: solo un negozio su 10 le usa

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Giovedì, 12 Gennaio 2012

 

LA LEGGE sui bio shopper, partorita dopo molti rinvii, il primo gennaio scorso ha compiuto un anno. Ma i nuovi sacchetti sono veramente ecologici? In realtà solo un negoziante su 10 supera l'esame "compost", cioè utilizza buste biodegradabili in tempi brevi. Tre su 10 usano i prodotti sbagliati. E 6 su 10 materiali su cui non hanno certezze.

La notizia viene da una ricerca Ispo che fotografa il comportamento dei commercianti. Il primo dato confortante è che sapevano: il 97% era a conoscenza della norma entrata in vigore il primo gennaio 2011. Il secondo dato positivo è che 9 su 10 considerano la nuova legge "un passo avanti nel rispetto dell'ambiente". Ma qui si fermano le buone notizie e si entra nell'area critica.

Tanto per cominciare un commerciante su tre se ne infischia della legge e continua imperterrito a smerciare i vecchi sacchetti di plastica di cui troviamo traccia nei boschi, sui prati, sulle spiagge e nei fiumi. E solo 1 su 10 ha sul banco gli shopper che effettivamente non causano problemi ambientali.

Un risultato decisamente poco brillante che spiega l'intensità delle polemiche che nelle ultime settimane hanno alimentato il dibattito parlamentare. Il Pd (con i capigruppo in commissione ambiente Roberto Della Seta e Raffaella Mariani e il responsabile cambiamenti climatici Francesco Ferrante) ha presentato emendamenti al decreto Milleproroghe per reintrodurre la norma sui parametri di dissolvenza degli shopper che era misteriosamente scomparsa dal testo dopo l'annuncio del governo.

"Aggirare la legge con false plastiche verdi è un disastro", ricorda David Newman, direttore del Consorzio italiano compostatori. "Ci sono Comuni che stanno sbagliando gli acquisti: distribuiscono sacchetti per la raccolta dell'umido che non si degradano nei tempi giusti. Questo errore ci costa già oggi 20 milioni di euro l'anno in danni agli impianti di compostaggio che restano intasati dalla plastica".

"Noi chiediamo una cosa molto semplice: attenerci alla normativa europea", aggiunge Marco Versari, presidente di Assobioplastiche. "Le bioplastiche devono sostanzialmente avere gli standard della cellulosa che si dissolve nell'ambiente, in determinate condizioni, in 180 giorni. Non è un obiettivo impossibile. Lo provano le aziende, da Novamont a Mossi & Ghisolfi, che offrono prodotti certificati e che nei prossimi 5 anni investiranno in Italia 700 milioni di euro per sviluppare la chimica verde".

In sostanza il punto è che il concetto di degradabilità, privo di parametri, non ha significato: tutto prima o poi si degrada. Ma un conto è che il processo avvenga in qualche settimana, un conto è dover aspettare secoli. Un conto è avere a che fare con un prodotto che viene dai campi, un conto è usare una plastica che frammentandosi diventa meno visibile ma resta insidiosa.

"Noi proponiamo un cambio di prospettiva", precisa il ministro dell'Ambiente Corrado Clini. "Con la chimica verde, che tra l'altro vede un ruolo importante delle industrie italiane, si passa dalla filiera dei combustibili fossili a quella dei prodotti organici. Si usa mais invece di petrolio. Il che vuol dire che non soltanto si difende il paesaggio dall'invasione dei frammenti di plastica, ma si dà un contributo alla riduzione dell'uso dei fossili che, quando vengono bruciati, rappresentano la principale minaccia per la stabilità del clima". (Antonio Cianciullo - repubblica.it)

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