Trivella selvaggia, atto secondo: via libera anche nelle aree di pregio?

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Venerdì, 29 Giugno 2012

 

Nel gennaio scorso, quando il Governo varò il Decreto Liberalizzazioni, sino all'ultima bozza tra quelle che circolarono nei giorni precedenti l'approvazione, era contenuta una norma, all'art. 17 che, ribadito il divieto di svolgere attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi all'interno aree protette, specificava come questo non dovessero più essere individuate in tutte quelle istituite, vale a dire quelle in relazione alle quali esiste un provvedimento istitutivo, nazionale o regionale, ma soltanto le aree protette identificate dal DM 27 aprile 2010 (IV Elenco ufficiale). Il divieto veniva inoltre esteso alle zone di mare poste entro 12 miglia marine dal perimetro esterno delle aree stesse.

Ciò significava che ove fosse stata istituita una nuova area marina protetta, e questa fosse stata inserita nell'Elenco Ufficiale, sarebbero restati comunque salvi i titoli abilitativi già rilasciati fino alla data di inserimento in Elenco.

Non solo. Dalla formulazione della norma, si evinceva come i divieti sarebbero stati operativi solo a far data dall'inserimento in Elenco dell'area protetta, e non già dalla pubblicazione del decreto istitutivo, come invece accaduto fino ad oggi, in un contesto in cui, giusta il disposto di cui all'art.5 comma 3 della legge quadro sulle aree protette 6 dicembre 1991 n.394, l'iscrizione nell'elenco ufficiale delle aree protette è condizione per l'assegnazione di contributi a carico dello Stato e non già per l'operatività dei divieti previsti dagli artt. 11 e 19 e sanzionati agli artt. 30 e 31 della legge quadro.

Peraltro, la norma contenuta nel Decreto Liberalizzazioni andava letta in anche alla luce di quanto previsto al comma 2 dell'art.17 del decreto, che prevedeva che potessero essere rilasciati provvedimenti conseguenti o comunque connessi (deve rilevarsi come la formulazione della norma risultasse quantomeno vaga...) , comprese proroghe o il rilascio di concessioni conseguenti a un rinvenimento di un permesso di ricerca già rilasciato.

Ciò significava che se il titolo abilitativo è relativo ad un'area protetta di nuova istituzione, il rilascio della proroga è comunque possibile se questo avviene prima dell'inserimento in Elenco Ufficiale. In un contesto in cui è noto che dall'istituzione dell'area protetta al suo inserimento in Elenco possono trascorrere dei mesi ed in alcuni casi addirittura degli anni.

Come ben ricorderanno i nostri lettori, la norma pro-trivelle non fu però approvata dal Consiglio dei Ministri, e non entrò, per gli effetti, ne Decreto Liberalizzazioni.

Il pericolo pareva scampato. Ed invece, sia pur in un'altra forma, la norma è stata riproposta, ed in questo caso anche approvata. Si tratta, in particolare, dell'art.35 "Disposizioni in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi", inserito nelle cd. misure per crescita sostenibile, che però si sostenibile pare davvero avere molto poco.

Vediamo in dettaglio. La norma in commento recita nei termini che seguono: " L'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è sostituito dal seguente:

"17. Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010 n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonchè l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attivita' di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. Le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo. Dall'entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente comma è abrogato il comma 81 dell'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i titolari delle concessioni di coltivazione in mare sono tenuti a corrispondere annualmente l'aliquota di prodotto di cui all'articolo 19, comma 1 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, elevata dal 7% al 10% per il gas e dal 4% al 7% per l'olio. Il titolare unico o contitolare di ciascuna concessione e' tenuto a versare le somme corrispondenti al valore dell'incremento dell'aliquota ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere interamente riassegnate, in parti uguali, ad appositi capitoli istituiti nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dello sviluppo economico, per assicurare il pieno svolgimento rispettivamente delle azioni di monitoraggio e contrasto dell'inquinamento marino e delle attività di vigilanza e controllo della sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare."

Si tratta, come si vede, di una norma che, a dispetto di quanto dichiarato nella Relazione Illustrativa e nel Documento esplicativo pubblicato dal Governo, dà il via libera alle trivellazioni per la ricerca di petrolio nei nostri mari, arrivando addirittura a consentire proroghe a concessioni scadute unitamente all'autorizzazione di domande che non hanno concluso l'iter autorizzativo.

Va segnalato come la disposizione in commento sia migliorativa rispetto alle bozze del decreto circolate sino a poche ore prima del varo del decreto, in cui, addirittura, erano contemplate deroghe alla cd. fascia di rispetto, che poteva essere ridotta sino a sette miglia.

Sta di fatto, tuttavia, che non si può concordare per le ragioni che illustreremo, con quanto riportato nella Relazione Illustrativa, in cui, quanto all'art.35, si afferma che: " Si stabilisce un'unica, per olio e per gas, e più rigida fascia di rispetto, passando dal minimo di 5 miglia alle 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione. Il nuovo limite, ancorché più restrittivo, rende più chiaro il quadro normativo di riferimento, consentendo comunque lo svolgimento di attività imprenditoriali importanti per la ricerca di fonti energetiche e per lo sviluppo economico ed occupazionale del Paese.

Si dispone infatti la salvezza dei procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128/2010, nonchè dei procedimenti ad essi conseguenti e connessi. La norma consente quindi di completare alcuni progetti di sviluppo di giacimenti già scoperti sui quali risultavano già fatti investimenti e di sviluppare i progetti conseguenti a nuovi rinvenimenti su aree già richieste, evitando oneri a carico delle finanze pubbliche conseguenti a richieste di risarcimento da parte delle imprese allo Stato italiano per la revoca degli affidamenti fatta ad investimenti in corso, assicurando inoltre entrate fiscali aggiuntive.

Si chiarisce inoltre che nell'ambito dei titoli già rilasciati possono essere svolte, oltre alle attività di esercizio, tutte le altre attività di ricerca, sviluppo e coltivazione di giacimenti già noti o ancora da accertare, consentendo di valorizzare nel migliore dei modi tutte le risorse presenti nell'ambito dei titoli stessi.

Attraverso l'aumento per una percentuale superiore al 40% delle royalties in mare (dal 7 al 10 per cento per gas e dal 4 al 7 per cento per olio) si finanziano le attività di salvaguardia del mare e di sicurezza delle operazioni offshore da parte dei Ministeri competenti per materia (MATTM e Mise)".

Come si vede, se è vero che per tramite della norma in commento è stata definita una fascia di rispetto unica e più rigida, pari a dodici miglia, è altrettanto vero che, come si accennava, la norma consente espressamente le proroghe a concessioni scadute nonché l'autorizzazione di domande che non hanno concluso l'iter autorizzativo, oltretutto tramite una formulazione della norna quantomeno vaga, ove si fa riferimento a procedimenti conseguenti e connessi, dilatando in maniera abnorme lo spettro di applicazione della deroga.

Per capire la reale portata della norma, è sufficiente leggere quanto dichiarato nel terzo paragrafo della Relazione Illustrativa, dove si dichiara apertamente che nell'ambito delle licenze già rilasciate possano essere svolte, oltre alle attività di esercizio, tutte le altre attività di ricerca, sviluppo e coltivazione di giacimenti già noti o ancora da accertare, "consentendo di valorizzare nel migliore dei modi tutte le risorse presenti nell'ambito dei titoli stessi", con la conseguenza, a dir poco ovvia, che, come detto, chi possedeva una licenza di esplorazione e/o di trivellazione prima del maggio 2010 potrà ora non solo riprendere tranquillamente la sua attività ma addirittura svolgerne di nuove, eccependo che queste siano parte di un progetto già esistente.

Per gli effetti, sono fatte salve le tutte le domande di autorizzazione fatte dalle compagnie petrolifere nei mari italiani, consentendo per gli effetti trivellazioni anche nelle superfici prossime alla aree marine importanti come quelle delle Tremiti, o delle Egadi, in cui, a quanto ci è dato apprendere, sembra che insistano domande di trivellare per una superficie massima di 750 Km quadrati.

Da fonte qualificata, risulterebbe anche che le aree di mare che rischiano di essere oggetto di trivellazione in Italia sono 40, di cui 22 nel canale di Sicilia, 16 nell'Adriatico, e 2 nel Golfo di Taranto. Sarebbero inoltre 120 le autorizzazioni già rilasciate.

Ricordiamo inoltre che, a giustificazione della deroga, come è dato leggere anche nel passaggio della Relazione Illustrativa testè riportato, la decisione del Governo sarebbe esitata dalla "necessità" di sbloccare i progetti che erano stati fermati dall'entrata in vigore del D.lgs. n.128/10, varato all'indomani del gravissimo incidente del Golfo del Messico, e motivando questa scelta con argomentazioni assai discutibili, dal momento che non risulta a chi scrive (o meglio risulta l'esatto contrario...) che le Amministrazioni pubbliche possano essere chiamate a risarcire in sede civile dei privati che abbiano subito un danno di natura puramente economica, non già a cagione di un comportamento illecito (vale a dire contra legem) serbato dall'Amministrazione, bensì, di contro, da un comportamento autorizzato e vieppiù imposto dalla legge stessa.

Davvero un colpo mortale, questa volta andato a segno, per il nostro ambiente. (Avv. Valentina Stefutti - www.dirittoambiente.it)

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