Mare adriatico in crisi, in 15 anni scompaiono scampi e molluschi

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Sabato, 12 Maggio 2012

 

SAN BENEDETTO – Non c’è scampo per gli scampi. Perdonateci il pessimo gioco di parole, ma gli ultimi numeri della crisi del nostro mare e del nostro pescato, parlano chiaro. Dal 1996 allo scorso anno infatti c’è stato un crollo del 74.96% per il pregiato crostaceo, mentre gli scampetti sono scesi da 103 tonnellate ad appena 25 l’anno. A salire, e non di poco, sono invece i prezzi che sono passati dai 6,6 euro al chilo ai 18,8: praticamente triplicati.

A presentare l’andamento – con, ahinoi, crolli vertiginosi – degli stock ittici degli ultimi 16 anni, ci ha pensato Nazzareno Torquati, portavoce dell’Assimpesca che, questa mattina, 11 maggio, ha mostrato - sia all’assessore alle Politiche del mare Fabio Urbinati, sia all’onorevole Luciano Agostini, responsabile nazionale del settore pesca del Pd, i risultati di due studi, uno del Fep (il Fondo Europeo per la Pesca) e uno che ripercorre l’ultimo quindicennio del pescato nel mercato ittico di San Benedetto. Torquati ha anche voluto posare l’accento sulla necessità di un cambio di rotta riguardante il fermo biologico (anche se nel 2012 tornerà uguale agli scorsi anni).

«Uno studio che aumenta le preoccupazioni degli anni passati – ha dichiarato Agostini – per cui, paradossalmente, il fermo pesca ci costa più di quanto ci dà». Il deputato fa riferimento proprio allo studio del Fep in cui si parlava di un dimezzamento del pescato marchigiano, avvenuto in sei anni (dal 2000 al 2006).

Analizzando l’andamento degli stock ittici, si è visto che un’altra specie in via d’estinzione è quella dei molluschi. «I totani si sono dimezzati – dichiara Torquati – e ancora peggio i calamari perché vengono catturati da una barriera di nasse e retine quando sono ancora piccoli e vicini alla costa. Così, aggiungendo l’utilizzo di turbosoffianti, sono stati rotti gli stock ittici, che ora avrebbero bisogno di anni di stop per riprendere il loro normale ciclo».

Calano anche gli introiti del merluzzo, il cui guadagno è passato da 1 milione e 821 mila euro a 1 milione 255, mentre tra i pesci che vengono svenduti ci sono le mazzoline (mediamente 1.59 euro) e le triglie (3 euro) che, secondo Torquati, potrebbero essere meglio canalizzati verso le industrie conserviere, rimettendo in moto l’indotto.

Il fermo biologico sembra aver giovato solo su panocchie e mazzancolle, fenomeno spiegabile, sempre secondo Torquati, con una semina di larve che venne fatta nell’84 a largo del Conero. «Tuttavia – aggiunge il portavoce dell’Assimpesca – è necessario un intervento urgente a favore di uno sviluppo sostenibile del settore, perseguito tramite l’adozione di Piani di Gestione dettagliati per GSA, ovvero aree geografiche di riproduzione che non possono prescindere da studi scientifici».

«Questi dati – ha aggiunto l’assessore Urbinati – sono solo un campione, e non si considera nemmeno il cosiddetto venduto “fuorimano”, cioè quello che viene commercializzato in banchina. Tuttavia è un punto di partenza che evidenzia lo stato di sofferenza del nostro mare».

Una buona nuova arriva dal direttore del Dipartimento Pesca del Ministero, Saverio Abate, che ha assicurato all’onorevole Agostini, l’arrivo, entro pochi giorni, dei rimborsi della cassa integrazione per il periodo dei 2 mesi di fermo. Rimborsi che, ricordiamo, erano stati promessi entro lo scorso febbraio.

PS. Leggevo alcuni articoli della stampa locale che indicavano il fermo pesca come un provvedimento INUTILE. Certamente è necessario evitare di ricommettere errori come quelli commessi in passato relativi alla sua attuazione pratica, ma più che definirlo inutile, vista la situazione attuale, dovremmo iniziare a considerarlo INSUFFICIENTE (Riego Gambini)

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