Cambiamenti climatici e violenza: trovata una relazione

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Mercoledì, 14 Agosto 2013

 

Il caldo dà alla testa più di quanto non si pensi. È quanto sostiene uno studio realizzato da un team di ricerca delle università americane di Princeton e di Berkeley, secondo cui anche un lieve aumento della temperatura (pari a meno di un grado) in una qualsiasi area del mondo può essere direttamente correlato con un aumento del livello di violenza. Considerando i modelli condivisi da molti climatologi, che prevedono per il 2050 una temperatura globale più calda rispetto all’attuale di circa un paio di gradi, lo scenario possibile diventa preoccupante.

VIOLENZA - La ricerca americana è partita dall’analisi di sessanta studi quantitativi diversi per disciplina, epoca storica e geografia. L’esame ha preso in considerazione lavori relativi ad archeologia, criminologia, economia, geografia, storia, scienze politiche e psicologia; un periodo temporale che va dal 10 mila avanti Cristo al giorno d’oggi; l’estensione dell’intero pianeta. Secondo Solomon Hsiang, leader del gruppo di ricerca, esiste una palese corrispondenza tra un clima più caldo o più piovoso e l’aumento del rischio di violenza. Hsiang non sostiene che caldo o umidità siano cause primarie di violenza, bensì che questi due fattori portino innegabilmente a esacerbare tensioni sociali e interpersonali, a prescindere dal momento storico, dal luogo, e dalla stabilità o dal livello di benessere sociale considerati.

DEVIAZIONE STANDARD - Il team di studiosi afferma che tale correlazione è misurabile. A un indice di deviazione standard (cioè a un cambiamento rispetto alla norma) verso temperature più calde o precipitazioni più estreme pari a 1, corrispondono un aumento della violenza interpersonale (stupri, assassinii o aggressioni) del 4%, e una crescita della frequenza dei conflitti tra gruppi pari al 14%. Tornando al 2050: se si pensa che per quella data l’indice di cambiamento previsto è compreso tra i valori 2 e 4, la preoccupazione espressa dai ricercatori americani appare chiara.

IN TUTTO IL MONDO - Per giungere a tali conclusioni, sono state prese in esame tre categorie di conflitti, relativi, in progressione, a «violenze interpersonali», «violenze tra gruppi», legate all’instabilità politica (come guerre civili, rivolte, violenza etnica e invasioni territoriali), e «breakdowns istituzionali» (drastici cambiamenti nelle istituzioni che governano intere civiltà). In tutti e tre i casi, il meccanismo era il medesimo. A un clima più «pesante» corrispondevano aumenti della violenza domestica tanto in India che in Australia, una crescita di aggressioni e omicidi sia negli Usa che in Tanzania; più episodi di violenza etnica in Europa e in Asia meridionale; e ancora: invasioni territoriali in Brasile, un più frequente ricorso alle maniere forti da parte della polizia olandese, guerre nel Medioevo e persino collassi di antiche civiltà.

CLIMA - Secondo Edward Miguel, coautore dello studio ed esperto Oxfam di economia ambientale presso l’Università di Berkeley, pensare che la società moderna, grazie alla tecnologia, non subisca l’influenza dei cambiamenti climatici è un errore. Anzi: in ogni società, «il clima è un fattore sostanziale nel mantenimento delle condizioni di pace e di benessere». Il processo che lega clima e conflitti coinvolge meccanismi di vario genere e livello. Secondo una teoria largamente condivisa, la paralisi economica che deriva da siccità e inondazioni, soprattutto in contesti fragili, fa scatenare tensioni già esistenti (verso governanti, minoranze etniche, migranti). Spesso però succede semplicemente che il caldo renda gli individui più aggressivi.

ESPERIMENTO - Tra le ricerche prese in esame, ad esempio, c’era un esperimento del 1994: dividendo una squadra di poliziotti ugualmente addestrati in due gruppi, e mettendone uno in una stanza surriscaldata, quest’ultimo dimostrava una maggiore probabilità di estrarre le armi rispetto al gruppo posizionato in un ambiente più fresco e confortevole. «Esistono prove concrete del fatto che le condizioni ambientali cambiano la percezione singola delle proprie condizioni», conclude Hsiang, «come pure la probabilità che una persona ricorra alla violenza o ad azioni aggressive per raggiungere il proprio scopo. Ora, ciò che vogliamo comprendere è la causa precisa di tutto questo. Una volta che l’avremo compresa, potremo pensare a come progettare azioni politiche o creare istituzioni in grado di gestire o di interrompere il link esistente tra clima e conflitti». (corriere.it)

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