I «no-oil» a Pescara: l'Italia unita contro le trivellazioni

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Lunedì, 15 Aprile 2013

 

TRIVELLAZIONI - Da qualche tempo, qualcosa unisce il nostro Paese. E per una volta, non è la Nazionale di calcio. È la lotta alle trivellazioni. Una serie di contestazioni che si estende e si fa più visibile, innescata da alcune norme contenute nel decreto Sviluppo del governo Monti. Che hanno sbloccato decine di richieste di autorizzazione per la ricerca di idrocarburi in terra e in mare. Martedì 9 aprile il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, ha a promesso di battersi «contro le perforazioni off-shore e per la tutela del mare del Canale di Sicilia». Ma le manifestazioni si moltiplicano in tutta Italia, e uniscono le maggioranze politiche alle opposizioni, fino alle associazioni non solo ambientaliste.

ABRUZZO IN PIAZZA - Oltre 260 adesioni ufficiali, tra le quali tre Diocesi, una Regione, una Provincia, due parchi nazionali, 51 Comuni, 17 partiti e liste civiche, e 178 tra associazioni, comitati e movimenti. Sono i numeri della manifestazione nazionale che si è svolta a Pescara indetta per contestare Ombrina Mare. Un progetto petrolifero della società inglese Medoilgas che prevede una piattaforma di produzione con sei pozzi, 42 km di tubazioni e una grande nave raffineria di 320 metri di lunghezza ormeggiata per 24 anni di fronte alla costa. Un litorale non qualunque: si tratta della «Costa dei trabocchi», che attende dal 2001 di essere trasformata in parco nazionale. Né ha giovato alla popolarità dell'impresa la lettera, diffusa dai militanti del Movimento 5 Stelle, che contiene il «doveroso apprezzamento» di Sergio Morandi, amministratore delegato di Medoligas Italia, al ministro all'Ambiente Corrado Clini. Le congratulazioni sono per l'aver superato con il decreto Sviluppo i vincoli del cosiddetto «correttivo ambientale» del 2010. Risultato: sono scese in piazza non solo tutte le forze politiche e i movimenti ambientalisti, ma anche associazioni di categoria, Comuni, viticoltori e imprenditori. Uniti contro il paradosso di un progetto di parco nazionale che viaggia di pari passo con quello petrolifero: «Persino Berlusconi», dice Fabrizia Arduini, referente Energia del Wwf in Abruzzo, «aveva detto un no secco a un progetto sul territorio che allora riguardava l'Eni. Ora, visto che già si vedono le teste di pozzo nel mare, resta la sensazione di essere stati svenduti. Senza contare i danni che le trivellazioni arrecano alla pesca, all'ambiente e al turismo».

ITALIA, PAESE DI BENGODI DELL'ORO NERO - Il rinnovato interesse per gli idrocarburi nazionali, di qualità per lo più scadente, nasce dai bassi costi di ricerca e alle modestissime royalties dovute. «In Italia», afferma Giorgio Zampetti, geologo, responsabile scientifico di Legambiente, «per la ricerca del petrolio le grosse compagnie pagano circa 5-6 euro a kmq, mentre la media mondiale è intorno a cento». Quanto alle royalties, secondo Pietro Dommarco, autore del volume Trivelle d'Italia, in Norvegia lo Stato preleva in diritti e compensazioni il 78%, nel Regno Unito dal 32 al 50%, in Canada il 45%. In Italia, ci si accontenta: il 7% sul petrolio estratto in mare, il 10% per quello prelevato in terraferma. Ecco quindi la ragione dei 22 permessi di ricerca attivi, delle 36 richieste di nuovi permessi, delle undici istanze di «coltivazione in mare». Se tutti i progetti andassero in porto, nel giro di poco tempo le piattaforme di estrazione italiane passerebbero dalle attuali nove a un'ottantina.

TUTTE LE PROPOSTE - Di qui, il moltiplicarsi delle proteste, dalla Bassa padana fino alla Sicilia. I più arrabbiati, forse, sono i Comuni dell’Emilia Romagna. Messi in allarme anche dal terremoto che l’anno scorso ha sfregiato la regione, i tamburi di guerra già rullano a Sassuolo, Novellara, Reno Centese, Monte San Pietro, Poviglio, insieme a decine di Comuni reggiani e di Parma. (Carlotta Clerici - corriere.it)

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